Prima puntata di un’inchiesta in due parti sulle teorie del complotto. La seconda si può leggere qui.
Fuoco sul quartier generale (di YouTube)
Il 20 settembre 2018 l’Fbi arriva a Cave Junction, un piccolo centro dell’Oregon occidentale che ha poco più di mille abitanti. Gli agenti cercano uno di loro, William Douglas, 35 anni. Non lo trovano a casa, ma lo intercettano davanti a un emporio, lo arrestano, lo portano via.
Douglas è accusato di aver minacciato di morte su Twitter l’amministratrice delegata e i dipendenti di YouTube, il terzo sito più visitato al mondo. “Vengo a beccarti, #prega”, ha scritto a Susan Wojcicki, poi ha annunciato di voler andare alla sede centrale dell’azienda per fare una strage: “Se volete più vittime, aka #sparatoria, vedrò quel che posso fare”.
Scrivendo “più vittime”, Douglas si riferiva a un episodio di qualche mese prima.
San Bruno, California, 3 aprile 2018. Una donna entra nel cortile della sede di YouTube durante la pausa pranzo e apre il fuoco con una pistola semiautomatica. Ferisce tre persone, una in modo grave, poi si uccide sparandosi al cuore. Si chiamava Nasim Aghdam. Due giorni dopo avrebbe compiuto 39 anni.
Nasim aveva un canale YouTube dove parlava di alimentazione vegana, body building, cultura persiana e altri argomenti. Il canale era piuttosto seguito, eppure lei pensava che YouTube lo stesse boicottando, limitando il traffico con appositi filtri. La compagnia aveva anche “demonetizzato” alcuni video, impedendo a Nasim di guadagnare con la pubblicità.
Douglas è molto colpito dall’attentato ed empatizza con la donna. Anche lui si lamenta di YouTube: i suoi video raccolgono centinaia di migliaia di visioni, ma lui pensa che potrebbero fare di più, è convinto di subire censure per via del loro contenuto.
Douglas è un estremista di destra e un appassionato di teorie del complotto. Nei suoi video propaganda le tesi più astruse, dalla Terra piatta al “finanziere ebreo” George Soros che controlla mezzo mondo. Da circa un anno, però, si è fissato su una teoria in particolare, o meglio: su una teoria che sta inglobando quasi tutte le altre. Una meta-teoria del complotto chiamata QAnon.
Ecco, William Douglas è un seguace di QAnon. E, come vedremo, non è il primo a essere arrestato.
Ci sono seguaci di QAnon anche in Italia. In rete se ne incontrano sempre di più, nei meandri di quella che i giornalisti francesi Dominique Albertini e David Doucet hanno chiamato la “fasciosfera”, una costellazione di profili e pagine di destra, razziste, complottiste. Ma è probabile che non rimangano confinati da quelle parti, anzi: presto potrebbero arrivare nel mainstream.
Per raccontare bene questa storia, dobbiamo cominciare da una pizzeria.
Pizzagate
Nella tarda primavera del 2016 la campagna elettorale per le presidenziali statunitensi sta entrando nel vivo. La scelta dei due candidati rivali è imminente, ma nei due partiti che si affrontano le situazioni sono piuttosto diverse: mentre Donald Trump avanza alle primarie repubblicane, Hillary Clinton è in un momento difficile. Se alla propria sinistra ha sofferto la concorrenza di un candidato dal successo inatteso, Bernie Sanders, da destra è presa di mira con sempre più accanimento. Fox News e altri mezzi di informazione le addossano varie colpe, risalenti al suo periodo da segretaria di stato dell’amministrazione Obama, dal 2008 al 2013.
Clinton è anche accusata di aver violato le leggi federali usando il suo indirizzo email privato per comunicazioni altamente riservate.
L’attenzione per la sua corrispondenza è dunque già alta quando, il 15 giugno, un hacker che si firma “Guccifer 2.0” pubblica sul sito DCleaks oltre 19mila email di esponenti di spicco e alti funzionari del Partito democratico.
Anche solo esaminando a campione le email si capisce che il gruppo dirigente, temendo una svolta troppo a sinistra, ha cercato di sabotare la campagna di Sanders. La vicenda crea imbarazzo e spinge alle dimissioni Debbie Wasserman Schultz, presidente del comitato nazionale del partito.
Da dove viene l’idea che i leader del Partito democratico siano satanisti e pedofili?
Il 21 luglio 2016, alla convention repubblicana di Cleveland che nomina Trump candidato alla presidenza, ogni volta che dal palco si cita Hillary – sempre col nome di battesimo – la folla dei delegati prorompe nel grido: “Lock her up!”. Chiudetela in galera.
Il giorno dopo, mentre a Philadelphia comincia la convention democratica che nominerà Clinton, anche Wikileaks pubblica le 19mila email, aggiungendone però molte altre. Nei mesi successivi ne arriveranno ancora, tante che nell’autunno 2016 l’intero corpus ne includerà centomila, oltre a migliaia di file allegati. Sul loro contenuto, e su modalità e responsabilità del loro trafugamento, si avvieranno indagini federali.
Proprio dalla pubblicazione di questa corrispondenza nasce e si sviluppa, sul forum 4chan, una teoria del complotto incentrata su immagini di bimbi in catene e abusi sessuali.
Secondo questa teoria, esponenti di punta del Partito democratico e manager della campagna elettorale di Clinton parteciperebbero regolarmente a rituali esoterico-satanici, durante i quali sarebbero commesse violenze su minori. Il tutto nelle cantine del Comet Ping Pong, ristorante-pizzeria di Washington che – sia detto en passant – non ha cantine e nemmeno un seminterrato.
Da qui il nomignolo dell’affaire: Pizzagate.
4chan è tecnicamente una “imageboard”, una bacheca per immagini. In realtà è molto di più: un luogo della rete dove vale tutto o quasi, e sono consentiti i discorsi più razzisti, sessisti e antisemiti. Su 4chan hanno preso forma e si sono rafforzate le retoriche dell’estrema destra “alternativa” americana, la cosiddetta alt-right. Da 4chan sono partite campagne di stalking e doxxing – raccolta di dati sensibili a fini di denigrazione e persecuzione – contro gruppi o singole persone.
La teoria Pizzagate nasce dalla sovrainterpretazione di alcune email della squadra di Clinton. Il coordinatore della campagna elettorale John Podesta ha scambiato diversi messaggi con James Alefantis, proprietario del Comet Ping Pong e sostenitore dei democratici, su una cena di finanziamento da tenersi nel ristorante. Gli esegeti delle email di Podesta notano che l’espressione “cheese pizza” ha le stesse iniziali di “child pornography”. Da qui parte un delirio interpretativo: la comunità decifra – per meglio dire, inventa – un linguaggio in codice nel quale “pasta” significa “bambino”, “salsa” significa “orgia” e così via.
La narrazione si gonfia, facendosi sempre più intricata e barocca, e da 4chan si estende al più frequentato Reddit. Poco dopo la riprendono teorici complottisti a tempo pieno, come Alex Jones e Mike Cernovich, che cominciano a diffonderla dai loro podcast e canali YouTube, in un crescendo di sospetto e odio.
Il 4 dicembre 2016 un uomo irrompe al Comet Ping Pong impugnando un fucile. Grida di voler liberare i bambini-schiavi e spara alcuni colpi, per fortuna senza uccidere nessuno, dopodiché viene bloccato e arrestato. Si chiama Edgar Welch, ha 28 anni. Il 22 giugno 2017 sarà condannato a quattro anni di prigione.
Dopo l’arresto di Welch, Reddit chiude il proprio forum – in gergo, un “sub-reddit” – dedicato al Pizzagate, per violazione delle regole antidoxxing della piattaforma. Il mezzo, infatti, era usato per diffamare e perseguitare privati cittadini, soprattutto Alefantis.
A quel punto, il Pizzagate esce dai radar dei mezzi di informazione. Anche la sua presa sull’immaginario complottista sembra scemare. In realtà, la storia si sta evolvendo. Ne eredita i caratteri una teoria chiamata “Pedogate”. In seguito, con Trump già alla Casa Bianca, Pedogate confluisce nella narrazione che diventerà celebre come “QAnon”.
Ma da dove viene l’idea che i leader del Partito democratico siano satanisti e pedofili? Capirlo è importante, anche per noi in Italia.
Michelle remembers e il caso McMartin
Sotterranei segreti. Bambini violati. Orrendi rituali. Nel Pizzagate riaffiorano gli elementi chiave di una storia precedente, un intreccio di leggende urbane che ha scosso gli Stati Uniti negli ultimi trent’anni del ventesimo secolo.
Nel 1980 esce il libro Michelle remembers, scritto dalla canadese Michelle Smith, 29 anni, in collaborazione con il suo psichiatra e futuro marito Lawrence Pazder, 44 anni. L’opera si dichiara autobiografica: l’autrice racconta la sua infanzia e adolescenza a Victoria, in British Columbia. Una vita angosciante, anzi, un lungo incubo, per colpa dei genitori, appartenenti a una presunta “chiesa di Satana”.
Durante le sedute con Pazder, Smith ha “recuperato” ricordi sepolti di abusi sessuali, infanticidi rituali e atti di cannibalismo, e ora descrive la sequela di orrori e nefandezze a cui ha dovuto assistere o partecipare. Scrive anche di essere stata violentata dai genitori, molte volte, fin dall’età di cinque anni. Tuttavia, non fornisce alcuna prova di quanto afferma, e il racconto è pieno di incongruenze.
La madre di Michelle è morta nel 1964, ma il padre è vivo e parla senza mezzi termini di “calunnie” e “farneticazioni”. Anche amici e conoscenti della famiglia attaccano Smith e Pazder, smentendo il contenuto del libro. Nessuna inchiesta, giornalistica o penale, troverà mai alcun riscontro, e quasi tutte le dichiarazioni di Smith saranno smentite da fonti documentali.
L’infondatezza del racconto non impedisce a Michelle remembers di diventare un “caso” negli Stati Uniti, dove milioni di lettori credono a quel che leggono nel libro. Si diffonde l’espressione coniata da Pazder “abuso rituale satanico” (Sra), mentre tra psicoterapeuti e sedicenti tali si impone la Terapia della memoria recuperata (Rmt), che consisterebbe nel “ripescare” ricordi dal fondo dell’inconscio. Un insieme di procedure vaghe e suggestive, che l’Associazione psichiatrica americana non raccomanderà né riconoscerà mai.
La Rmt finisce per creare falsi ricordi nelle menti di centinaia di persone. Prima toccherà alle figlie e ai figli del “baby boom” – cioè ai nati tra il 1945 e la metà degli anni sessanta – poi a bambini in età scolare e addirittura prescolare. Avvocati senza scrupoli ne approfittano per fare soldi: dall’Atlantico al Pacifico le autorità inquirenti sono investite da un’ondata di denunce e testimonianze, talmente somiglianti da sembrare sempre la stessa, e i mezzi di informazione fanno da cassa di risonanza, scoop dopo scoop.
Gli elementi base della narrazione sull’abuso rituale circolano da secoli in Europa
Il paese è ormai in preda al “panico morale”, concetto coniato dal sociologo Stanley Cohen per definire la paura aggressiva che si impadronisce dell’opinione pubblica quando le viene additato un presunto nemico.
Le conseguenze? Linciaggi mediatici, reputazioni distrutte, figli sottratti ai genitori, ingiuste detenzioni, milioni di dollari sperperati in indagini e processi.
L’apice si tocca con People v. Buckey, meglio noto come il caso McMartin, il processo penale più lungo e costoso della storia americana.
Nel 1983, intorno a tre componenti – due donne e un uomo – della famiglia McMartin, che gestisce una scuola per l’infanzia a Manhattan Beach, California, si forma un vortice di dicerie, racconti di bambini, ricostruzioni sempre più estreme e criminalizzazioni a mezzo stampa.
È un episodio di isteria di massa, generato dal clima di panico sull’Sra e dalle ansie di madri e padri che hanno sovrainterpretato frasi dette dai figli di ritorno da scuola. Spaventati, i genitori hanno cominciato a sentirsi tra loro, amplificando le proprie inquietudini, e hanno interrogato i bimbi più volte, tessendo tra loro i racconti, desumendone sempre nuovi particolari, finché non è apparso un mostro a più teste: la diabolica famiglia McMartin.
Non manca lo zampino di Smith e Pazder: al diffondersi delle prime notizie, gli autori di Michelle remembers sono volati a Manhattan Beach per incontrare i genitori e i mezzi di informazione locali. La loro visita ha piantato nell’immaginario l’idea dell’abuso rituale satanico. Il resto lo faranno le psicologhe incaricate di interrogare i bambini. Come testo di riferimento per affrontare il caso, alcune di loro usano proprio Michelle remembers.
I McMartin sono accusati di aver compiuto per anni abusi rituali satanici ai danni di ben 400 bambini. Avrebbero agito quasi sempre in tunnel segreti sotto la scuola, ma a volte avrebbero organizzato “gite”, con i bambini portati in pulmino nei luoghi scelti per i rituali. Tutto ciò, senza che nessuno si accorgesse mai di nulla. Un bambino ha perfino indicato come uno dei violentatori l’attore Chuck Norris, che però non sarà mai indagato. Quanto ai tunnel, sotto la scuola non ne saranno mai trovati.
Nonostante la totale assenza di prove, gli indagati sono rinviati a giudizio. Il processo dura sei anni e si conclude nel 1990, con l’assoluzione di tutti gli imputati e una verità sconvolgente: a creare falsi ricordi di abusi nelle menti dei bambini sono stati metodi di interrogatorio inadeguati e prevaricanti, condotti con pressioni e domande insistenti da parte dei genitori, degli inquirenti e, soprattutto, delle psicologhe.
Tra gli anni ottanta e novanta, sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito, inchieste governative e studi scientifici concludono che l’Sra non esiste. È una leggenda metropolitana. Ma il panico morale è indifferente ai risultati delle ricerche, si muove su un altro piano e, nel passaggio tra i due decenni, si sposta in Europa. O meglio: ritorna in Europa.
Da questa parte dell’Atlantico, infatti, gli elementi base della narrazione sull’abuso rituale circolano da secoli. Li ritroviamo, per esempio, nella leggenda antigiudaica chiamata “accusa del sangue”, circolata dall’undicesimo secolo fino alle soglie del ventesimo, secondo cui gli ebrei rapivano e uccidevano i figli dei cristiani, per usarne il sangue come ingrediente del pane azzimo e additivo nel vino da consumare durante la Pasqua. Si credeva che i bambini fossero completamente dissanguati, come nella macellazione kosher, e il loro sangue raccolto in un catino.
Bologna, Modena, Rignano Flaminio
Nell’agosto 1996 la polizia belga arresta Marc Dutroux, 39 anni, stupratore, torturatore e assassino di almeno sei ragazzine, da lì in poi battezzato il “mostro di Marcinelle”.
Il modus operandi di Dutroux non ha nulla di occultistico, satanico o rituale: nemmeno le due vittime trovate ancora vive a casa sua riferiscono niente del genere. Eppure, alle autorità belghe si rivolgono diverse donne adulte, che si presentano come “sopravvissute” agli abusi di Dutroux, raccontano di cerimonie sataniche, si dicono certe che il serial killer faccia parte di una setta esoterica. La polizia indaga. Non troverà alcun riscontro, ma intanto i mezzi di informazione, anche fuori del Belgio, dedicano articoli e servizi alla ricerca della “rete satanica del mostro di Marcinelle”. Sulla sua esistenza circoleranno a lungo varie teorie del complotto.
Il panico morale agguanta l’Europa. Si avvistano omologhi di Dutroux ovunque: ai giardinetti, negli asili nido, nelle scuole e ovviamente su internet, perché nel frattempo si stanno affermando i nuovi media digitali. I bambini sono in pericolo, si legge e sente dappertutto. Ben presto, si diffonde un’autentica ossessione per la pedofilia. Anche in Italia.
Negli anni novanta il nostro paese sconta un forte ritardo culturale dei magistrati inquirenti, dei giornalisti e della psicologia forense. La letteratura scientifica internazionale ha già stabilito che l’Sra è una leggenda, ma alcune procure battono quella pista e istruiscono processi. I magistrati che conducono le indagini sono descritti dai mezzi di informazione come paladini che affrontano forze occulte. Eroi in lotta contro il diavolo.
Le due storie più significative si svolgono in Emilia-Romagna. Cominciano negli stessi anni e corrono quasi parallele. In entrambe ritroviamo scene che sembrano prese da Michelle remembers e dal caso McMartin, ma anche dall’antica “accusa del sangue”.
Cominciamo da Bologna, dove, nel gennaio 1996, sono arrestati tre esponenti di un’associazione culturale chiamata Bambini di Satana (Bds), tra i quali il fondatore Marco Dimitri.
Quello dei Bds è un sodalizio a metà tra occultismo e controcultura giovanile, che ha attirato l’attenzione con performance e dichiarazioni provocatorie. Dimitri è stato anche ospite di talk show nazionali, ma adesso è in prigione, accusato di avere stuprato un’adolescente e un bimbo piccolo durante messe nere officiate a Bologna e sui colli a sud della città. Le indagini, condotte dal pubblico ministero Lucia Musti, si basano sulle parole di una “supertestimone” ancora minorenne. I mezzi di informazione la chiamano Simonetta, è l’ex fidanzata di uno dei tre indagati. Simonetta racconta anche di sacrifici umani, ma le presunte vittime non hanno nome, e i corpi non saranno mai trovati.
Le leggende d’odio non scompaiono. Tornano sotto il pelo dell’acqua della cultura e prima o poi riemergono
Nonostante la vaghezza delle ricostruzioni e la mancanza di prove oggettive, il giudice dell’udienza preliminare dispone il giudizio. Gli imputati trascorrono un anno e mezzo di carcere preventivo in isolamento, mentre i giornali – a partire dal Resto del Carlino – trasformano Dimitri in un mostro alla Dutroux. Da Marc a Marco il passo è breve. A sorpresa, però, una parte di città si mobilita in sua difesa: artisti, scrittori, giornalisti, centri sociali. Una mobilitazione dai caratteri inediti, su cui torneremo nella seconda puntata.
Il panico morale diminuisce e il processo comincia in un clima di incertezza. Siamo nel febbraio 1997. In cinque mesi di udienze, l’impianto accusatorio appare in tutta la sua debolezza. Gli imputati sono assolti in primo grado e di nuovo in appello nel 2000. Il procuratore generale non ricorre nemmeno in cassazione. Per l’ingiusta detenzione, lo stato risarcirà Dimitri e i suoi compagni.
Sul caso, consigliamo la ricostruzione della giornalista Antonella Beccaria Bambini di Satana. Processo al diavolo: i reati mai commessi di Marco Dimitri (Stampa Alternativa, 2006, scaricabile dal sito dell’autrice) e l’analisi del sociologo Patrizio Paolinelli Esoterismo, sicurezza e comunicazione. Il caso dei Bambini di Satana.
Nel frattempo, in provincia di Modena, si sviluppa la vicenda dei “diavoli della Bassa”. Nella zona tra Mirandola e Finale Emilia, venti persone sono indagate con accuse gravissime. Sono in gran parte coppie di genitori – alle quali sono portati via i figli (in tutto sedici bambini) – e un sacerdote molto amato dai suoi parrocchiani, don Giorgio Govoni.
Separati dai genitori, affidati a nuove famiglie e interrogati da alcune psicologhe per diversi mesi, i bambini raccontano – aggiungendo sempre nuovi dettagli – di violenze sessuali, torture, infanticidi. Crimini immondi, compiuti durante cerimonie notturne in tre cimiteri della bassa. È un crescendo: processioni di decine di persone con tuniche, cappucci e maschere; fosse scavate per inscenare parodie di funerali; bambini costretti a uccidere altri bambini; neonati uccisi e il loro sangue raccolto in un catino per poi essere bevuto.
Ma quei cimiteri sono poco fuori i centri urbani, a lato di strade trafficate e circondati da case abitate, e nessuno ha mai notato nulla. Tra le tombe, non c’è alcun segno di attività insolite. Quanto ai presunti omicidi, nessun corpo verrà mai trovato.
Nel biennio 1996-1997 i giornali locali coprono con molto clamore quel che sta accadendo a Bologna. Quasi ogni giorno il Resto del Carlino, diffuso in tutti i bar dell’Emilia-Romagna, dedica diverse pagine al caso Dimitri, alle deposizioni di Simonetta, all’allarme satanismo. Messe nere, sacrifici umani, un bambino chiuso in una bara… Nei paesi della bassa se ne parla. Può darsi che una vicenda abbia influenzato l’altra. Bologna è vicinissima, da Finale Emilia ci arrivi in tre quarti d’ora.
Prima ancora dei rinvii a giudizio, una donna a cui hanno tolto la figlia si suicida gettandosi dal balcone. Nel maggio 2000, il giorno dopo la richiesta di condanna a quattordici anni, don Govoni muore di infarto nello studio del suo avvocato. Sul conto suo e degli altri, da quasi tre anni, i mezzi d’informazione locali scrivono cose di questo genere:
Orrorifici cortei di venti, trenta pedofili inscenati nei vialetti della bassa modenese, per sciogliersi in orge senza limiti, per distruggere l’infanzia dei propri figli o dei figli dei propri conoscenti (la Repubblica, pagine regionali, 13/11/1998)
Anche qui, come a Bologna, una parte dei cittadini si attiva in solidarietà agli imputati. Si organizzano manifestazioni, raccolte di firme e un presidio davanti al tribunale.
Rispetto al caso Dimitri, l’esito giudiziario è più contrastato. Nel 2000 tutti i 15 imputati sono condannati in primo grado, ma nel 2001 la sentenza d’appello differenzia le posizioni processuali. Otto imputati sono assolti “perché il fatto non sussiste”, per altri sette la condanna è riformata: le pene sono più basse, e i fatti di cui sono ritenuti colpevoli riguardano abusi domestici, ma senza alcuna impronta rituale. Nel 2002 la cassazione conferma il giudizio d’appello e smonta la pista satanica, parlando esplicitamente di “falso ricordo collettivo”.
Per contro, la cassazione annulla due delle otto assoluzioni e rinvia il giudizio alla corte d’appello di Bologna. Nel 2013, la sentenza che assolve di nuovo gli imputati ha parole durissime per gli inquirenti e, soprattutto, per chi ha interrogato i bambini. In particolare le psicologhe sono definite “oggettivamente inesperte” e il loro approccio “assolutamente censurabile (…) perché del tutto impropriamente veicola nella mente dei bambini dati e informazioni che ne possono contaminare ogni successivo racconto”.
Nel 2017 il podcast Veleno, di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, riaccende i riflettori sul caso, criticando duramente le indagini dell’epoca e le modalità di interrogatorio dei bambini, intervistando ex imputati e testimoni, compresi alcuni dei piccoli testimoni di allora, oggi convinti di essere stati manipolati. Veleno getta pesanti dubbi anche sulle condanne confermate in cassazione. L’ascolto riapre le ferite e torna a smuovere le coscienze. Nonostante lo scalpore e l’introduzione di nuovi elementi, il procuratore della repubblica di Modena dichiara di non voler riaprire l’inchiesta.
Per una curiosa coincidenza, nel 2017 a capo della procura c’è Lucia Musti, vent’anni prima pubblico ministero al processo di Bologna contro Marco Dimitri.
Torniamo ai primi anni del nuovo secolo. Per qualche tempo il panico morale sull’Sra sembra affievolirsi, ma all’improvviso, nel 2007, riesplode con il caso della scuola Olga Rovere di Rignano Flaminio, in provincia di Roma.
La vicenda è in tutto e per tutto la fotocopia del caso McMartin, ormai conosciuto anche in Italia da giornalisti, sociologi, operatori dell’infanzia. Ogni elemento coincide: la scuola materna, i sotterranei, gli educatori accusati, il pulmino che porta i bambini nei luoghi degli abusi e perfino la presenza tra gli “orchi” di un personaggio del mondo dello spettacolo: nel caso italiano, l’autore televisivo Gianfranco Scancarello, marito di una delle maestre. E proprio come nel caso McMartin, il processo si conclude con la piena assoluzione degli imputati, in tutti i gradi di giudizio. Anche in questo caso, le sentenze – l’ultima del 2014 – criticano i metodi usati per interrogare i bambini.
Lo scrittore Antonio Scurati si ispira anche alla vicenda di Rignano Flaminio per scrivere un romanzo su falsi abusi e panico morale, Il bambino che sognava la fine del mondo, con il quale giunge in finale al premio Strega 2009.
Il tema sembra ormai normalizzato, qualcosa di cui poter discutere con il giusto distacco, ma non c’è da illudersi. Le leggende d’odio non scompaiono. Tornano sotto il pelo dell’acqua della cultura e prima o poi riemergono. L’abuso rituale satanico tornerà, anche in Italia. Anzi, sta già tornando, seppure ibridato con altri miti, sulla scia di quanto accade negli Stati Uniti di Trump. Dove il complottismo sull’Sra ha incontrato il complottismo politico.
False detectives
L’Sra riemerge nella cultura pop nel 2014 con la prima stagione della serie tv True detective, capolavoro di scrittura, regia e recitazione. La trama si incentra proprio su abusi rituali, compiuti da una rete di pedofili collegata al mondo politico, con riferimenti al (fittizio) governatore della Louisiana.
Non è da escludere che proprio il successo di True detective possa aver favorito il collegamento tra Sra e ambienti politici. Collegamento poi diventato automatismo, quasi una sinapsi culturale.
La figura di uno dei due protagonisti della serie, l’ex poliziotto Rustin “Rust” Cohle, è giocata sul cliché del conspiracy freak: la vita appartata, il garage pieno di indizi e reperti, la mappa del complotto che si compone sulla parete aggiungendo e spostando biglietti, fotografie e documenti, l’indagine fai-da-te con irruzione finale nel covo della setta.
È un perturbante gioco di specchi quello tra Cohle e i detective dilettanti che incontreremo seguendo le strade di QAnon: il personaggio di finzione riflette un certo tipo antropologico, che a sua volta sembra rimodellarsi sul personaggio di finzione. Umberto Eco aveva già fatto notare che spesso le teorie del complotto sono direttamente influenzate da romanzi, film e altre opere di fiction. A questo tema dedicò il suo romanzo del 2010 Il cimitero di Praga.
Non sembra un caso che nelle fantasticherie sull’Sra si registri spesso la presenza di attori famosi, o comunque personaggi del cinema o della tv: Chuck Norris nel caso McMartin, Scancarello nel caso di Rignano Flaminio e – stiamo per vederlo – Tom Hanks nella narrazione di QAnon.
“Nell’affresco sono una delle figure di sfondo”
È l’ottobre 2017 quando su 4chan cominciano ad apparire messaggi firmati “Q”. Il mittente, in tono allusivo, fa capire di essere un funzionario di alto livello del governo federale.
La lettera “Q” sarebbe un riferimento alla “Q clearance”, descritta come un’autorizzazione ad accedere a documentazioni segretissime. In realtà la “Q clearance” è un permesso richiesto dal dipartimento dell’energia statunitense, che si occupa solo di centrali nucleari, dunque non ha attinenza con ciò che l’anonimo – o il gruppo di anonimi – racconta.
A essere precisi, Q non racconta niente: manda messaggi stringati, enigmatici, che gli utenti di 4chan chiamano “briciole”, come quelle di Pollicino. Le briciole non sembrano avere alcun senso, o meglio, sono aperte a qualunque interpretazione: “Il futuro prova il passato”; “Impara a leggere la mappa”; “Il Padrino III”. Oppure acronimi e numeri: “Dnc -> (Sr 187) (Ms-13) -> Dws”, oltre al ricorrere del numero 17.
Secondo QAnon, la candidatura di Trump è stata voluta dai militari per sgominare la cricca di pedofili
Da quest’ultimo dettaglio deriverà una spasmodica attenzione per l’apparire del numero nei discorsi e nei tweet di Donald Trump. La Q è la 17ª lettera dell’alfabeto inglese, e qualunque uso del 17 da parte del presidente sarà interpretato come segnale di riconoscimento, o ammicco, in direzione di Q.
Nell’autunno 2017, come ricostruisce la Nbc, i messaggi di Q sono ripresi e diffusi da alcuni mediattivisti di destra. È così che si sviluppa il fenomeno QAnon.
Ben presto si forma una comunità di autodichiarati “fornai”, che raccolgono le briciole e ne fanno un “impasto”, cioè cercano di cogliere i riferimenti, trovano puntini da unire, forzano ogni elemento dentro uno schema in apparenza coerente. La narrazione che ne risulta è chiamata The storm, la tempesta.
Il nome è ispirato a una frase che Trump ha pronunciato il 6 ottobre, mentre posava per una foto di gruppo con rappresentanti delle forze armate. “Questa è la quiete prima della tempesta”, ha detto. I giornalisti presenti gli hanno chiesto di spiegarsi, ma non l’ha fatto. Secondo alcuni era un riferimento alle tensioni con la Corea del Nord, oppure con l’Iran. Secondo la comunità di QAnon era un avvertimento alla cabal.
In italiano cabal si può tradurre con “cricca”, ma in inglese ha una connotazione in più: il termine deriva dalla cabala, la tradizione esoterica ebraica, dunque – soprattutto se usato in certi contesti – evoca il sempiterno “complotto giudaico”.
Secondo QAnon, una cricca di politici – in gran parte democratici, ma anche repubblicani ostili a Trump – e figure dell’establishment controlla da decenni il governo americano, dunque gran parte del pianeta, e al contempo gestisce una vasta e capillare rete di pedofili. Della cricca fanno parte Bill e Hillary Clinton, Barack e Michelle Obama, il senatore John McCain, diverse celebrità di Hollywood – il più tirato in ballo è Tom Hanks – e l’artista Marina Abramović. Ha un ruolo importante anche la Cemex, multinazionale messicana dei materiali da costruzione, il cui vero business sarebbe il traffico di bambini. Oltre, naturalmente, a George Soros, vera e propria figura-jolly dell’odierno complottismo.
Durante gli incontri segreti della cabal si svolgerebbero, oltre alle violenze su minori, rituali di vampirismo e cannibalismo. Il 9 luglio 2016 Hillary Clinton avrebbe partecipato, a casa di Marina Abramović, a una cena satanica con riti a base di latte umano, sperma, sangue mestruale e sangue di maiale.
Secondo QAnon, la candidatura di Trump alla Casa Bianca è stata voluta dai militari per sgominare la cricca di pedofili e salvare il paese.
In Italia comincia a riprendere queste storie il cospirazionista Maurizio Blondet, in articoli poi condivisi sui social network dal futuro presidente della Rai Marcello Foa.
Nell’autunno 2017 Trump e il suo entourage sono da tempo oggetto di un’indagine federale condotta dal procuratore speciale Robert Mueller. L’ex direttore dell’Fbi indaga sui presunti legami fra Trump e la Russia di Putin, e sulle possibili interferenze russe nelle elezioni statunitensi dell’anno prima. Ma secondo QAnon, questa versione è solo una copertura. Non è Trump a essere sotto inchiesta: in realtà Mueller sta investigando sui Clinton e su Obama, per conto di Trump. Quest’ultimo è un genio che sta lavorando nell’ombra e giocando – è l’espressione utilizzata più spesso – una “partita a scacchi in 4d”.
La partita finirà con il “grande risveglio”, il momento in cui l’operazione di Trump colpirà la rete pedofila e i capi di quest’ultima saranno imprigionati a Guantanamo. A tale scopo, il dipartimento della giustizia avrebbe già pronti 25mila rinvii a giudizio, al momento sigillati, destinati alla dirigenza del Partito democratico e ai principali esponenti della cabal.
La missione di Q è preparare al gran giorno la parte più avveduta dell’opinione pubblica.
Non è chiaro perché mai Trump avrebbe autorizzato qualcuno a preavvertire i suoi nemici, per giunta su un forum come 4chan, facendo trapelare dettagli di un piano che in teoria sarebbe segretissimo. Del resto, questa – come vedremo – è la contraddizione di base di tutta la letteratura complottista.
Il grande risveglio è sempre dato per imminente. Quando, il 25 agosto 2018, muore John McCain, su 8chan si ipotizza non sia davvero morto di tumore: probabilmente si è suicidato per evitare l’arresto e la prigionia a Guantanamo.
Nei primi mesi del 2018, la comunità di QAnon si sposta da 4chan a 8chan, forum ancor meno moderato, talmente permissivo che sulle sue bacheche si trovano anche filmati di autopsie e immagini di pornografia infantile. In pratica, per denunciare complotti di pedofili immaginari si sceglie un forum frequentato da pedofili veri.
Allo stesso tempo, QAnon colonizza zone della rete ben più visibili e accettabili: prima Reddit, poi YouTube, poi Twitter. Non solo: diversi soggetti cominciano a produrre e vendere online, soprattutto su Amazon, felpe, magliette, cappellini, tazze e vari articoli da regalo a tema QAnon.
Nell’aprile 2018 viene anche lanciata l’applicazione chiamata QDrops, che consente di ricevere le “briciole” sul proprio smartphone e seguire il lavoro dei “fornai” in tempo reale. In brevissimo tempo, scala la classifica delle app più scaricate dall’App store di Apple e dal Play store di Google.
QAnon si diffonde velocemente nella destra americana, in particolare nella fascia anagrafica dei boomer, gli over cinquanta. Anche le celebrità che abbracciano la causa sono boomer, come l’attrice Roseanne Barr, tanto che l’alt-right, composta in prevalenza da persone sotto i quaranta, comincia a ironizzare su QAnon in quanto teoria per “attempati”.
Il 7 aprile 2018 a Washington si tiene una manifestazione a favore di QAnon. Partecipano solo 200 persone, ma è la prima uscita della teoria del complotto nel “mondo reale”, fuori dei forum di internet.
Poco dopo, la fuoriuscita si trasforma in una serie di incursioni violente.
Il 15 giugno, un uomo armato di fucile blocca il ponte della diga Hoover, in Nevada, mettendosi di traverso con un furgone blindato. Si chiama Matthew Wright, ha trent’anni. Prima di essere arrestato, grida frasi che rimandano a QAnon e mostra un cartello nel quale chiede alla Casa Bianca di “pubblicare l’Oig report”, il rapporto dell’ufficio dell’ispettore generale sulle email di Hillary Clinton.
In realtà il rapporto è già stato pubblicato il giorno prima. Ha più di 500 pagine, ma QAnon deve averlo letto al volo, perché ha subito fatto sapere di ritenerlo un falso. Trump avrebbe in mano il rapporto autentico. Se reso pubblico, proverebbe che l’Fbi, il dipartimento della giustizia e i democratici hanno infranto la legge nel tentativo di impedire la vittoria di Trump. Eppure, per qualche motivo, Trump lo tiene nel cassetto.
Negli stessi giorni, in Arizona, un’improvvisata milizia di destra esplora i dintorni dell’interstatale 19, a ridosso del confine col Messico, in cerca di “campi di pedofili”. Si fanno chiamare Veterans on patrol (Vop). Il loro capo, Michael Lewis Arthur Meyer, 39 anni, è un seguace di QAnon ed è convinto che nei dintorni vi siano luoghi dove dei bambini sono tenuti prigionieri e violentati. Luoghi di proprietà della Cemex.
I Vop cercano di convincere la polizia di Tucson che un bivacco di senza dimora abbandonato su un terreno della Cemex mostra segni della presenza di bimbi in schiavitù. La polizia fa un sopralluogo, ma non trova nulla. Il 12 luglio, Meyer è arrestato per violazione di proprietà privata. In polemica con le autorità che ignoravano le sue segnalazioni, aveva occupato una torretta sul terreno “incriminato”.
L’8 agosto, a Orange County, California, l’ufficio dello sceriffo arresta Forrest Clark, 51 anni, accusato di aver appiccato il grande incendio soprannominato “Fuoco sacro”, che sta divorando migliaia di ettari di boschi. “Questo posto brucerà!”, aveva annunciato Clark, noto fanatico di complotti e, da alcuni mesi, seguace di QAnon.
Douglas, Wright, Meyer, Clark, e prima ancora Welch. Tutti sembrano proiezioni nella vita reale del Rust Cohle di True detective.
Nel frattempo c’è stata una svolta. Il 31 luglio una folla entusiasta ha accolto Trump a Tampa, Florida, indossando magliette di QAnon e alzando cartelli con scritto “Noi siamo Q”. Hanno rubato la scena al presidente, e i giornalisti hanno parlato solo di loro. È stata la definitiva irruzione di QAnon nelle cronache nazionali e, di lì a poco, internazionali. Su 8chan, Q ha commentato: “Benvenuti nel mainstream. Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato”.
Comincia una nuova fase. Anche molti che finora erano distratti si rendono conto che c’è un problema. La domanda è: come affrontarlo?
Prima puntata di un’inchiesta in due parti sulle teorie del complotto. La seconda si può leggere qui.
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