Cortei e veglie di preghiera in tutto il paese per le 148 vittime della strage all’università di Garissa, dove il 2 aprile quattro uomini di Al Shabaab hanno sequestrato e ucciso centinaia di studenti nel campus della città, al confine con la Somalia
Ieri sera a Nairobi si è tenuta una veglia di preghiera per le vittime della strage all’università di Garissa, dove il 2 aprile quattro uomini del gruppo jihadista Al Shabaab hanno sequestrato e ucciso 148 studenti nel campus della città, al confine con la Somalia. Leggi
Leah N Wanfula aveva 21 anni ed era la prima di nove fratelli ad andare all’università. Gideon Kirui aveva 22 anni e poteva studiare grazie ai soldi raccolti per lui da tutto il villaggio. Selpher Wandia aveva 21 anni e sognava di diventare un’insegnante. Sono i ritratti di alcune delle vittime dell’attacco all’università di Garissa, in Kenya, avvenuto il 2 aprile quando un commando di jihadisti di Al Shabaab ha sequestrato e ucciso 148 persone. Le vittime avevano in maggior parte tra i 19 e i 23 anni.
Per fare in modo che le vittime non siano ridotte a un semplice numero, è stata lanciata una campagna su Twitter per raccontare le storie di ognuna di loro. Usando gli hashtag #147notjustanumber e #theyhavenames, familiari, amici, giornalisti hanno cominciato a rendere omaggio alla memoria dei ragazzi uccisi, condividendo fotografie e informazioni sulla loro vita.
La campagna è stata lanciata da Ory Okolloh Mwangi, conosciuta anche come @KenyanPundit, quando il bilancio delle vittime era ancora a 147.
L’iniziativa, ha spiegato al Wall Street Journal, è stata “un tentativo di umanizzare le vittime del terrore”. Secondo Topsy, lo strumento per il monitoraggio dei social network, l’hashtag #147notjustanumber è stato citato 52mila volte. Inoltre è stato creato un documento pubblico per “garantire che i nomi delle vittime degli atti di violenza interni ed esterni non siano mai dimenticati”. Gestito dal blogger keniano noto come Owaahh, il documento funziona come un database open source e chiunque può aggiungere informazioni sugli studenti di Garissa.
Almeno 2.500 persone hanno manifestato contro il terrorismo a Garissa, in Kenya, dopo la strage all’università in cui sono morte almeno 148 persone in un attacco del gruppo terroristico di Al Shabaab. Nel corteo, organizzato nell’ultimo giorno del lutto nazionale proclamato dal presidente Uhuru Kenyatta, hanno sfilato cittadini musulmani e cristiani, promettendo di cooperare con le forze dell’ordine per denunciare i miliziani di Al Shabaab che potrebbero nascondersi nella comunità di Garissa.
Su Twitter, con l’hashtag #147notjustanumber, i keniani ricordano i nomi e le storie degli studenti uccisi:
“Le cerimonie del nome sono importanti per la cultura africana”, spiega su Twitter l’attivista e cofondatrice dell’applicazione Ushahidi Ory Okolloh. “Dare un nome dà significato alla vita passata, presente e futura. Quindi li nomineremo uno a uno”, scrive Okolloh parlando degli studenti uccisi a Garissa.
Circa duecento studenti hanno manifestato a Nairobi martedì 7 aprile, nel terzo giorno di lutto per le 148 vittime della strage di Garissa, contro l’incapacità del governo di proteggere la popolazione dagli attacchi terroristici. Il corteo è arrivato fino agli uffici del presidente Uhuru Kenyatta dove un gruppo ristretto di studenti è riuscito a entrare e consegnare una petizione per chiedere il miglioramento dell’equipaggiamento delle forze di sicurezza e la creazione dei centri di vigilanza con poliziotti in allerta ventiquattr’ore su ventiquattro. Durante il corteo alcuni studenti si sono fermati, con candele e fiori in mano, per intonare delle preghiere in memoria delle vittime.
La stampa keniana e diverse amministrazioni locali hanno accusato le autorità di aver ignorato i rischi legati al terrorismo nelle regioni al confine con la Somalia e hanno criticato il tempo impiegato dalle forze di sicurezza per arrivare a Garissa mentre l’attacco era in corso. “Lo stato aveva ricevuto l’allarme e non è stato in grado di rispondere in modo adeguato”, ha dichiarato Stephen Mwadime, segretario generale dell’associazione degli studenti dell’università Kenyatta de Nairobi. Afp
Dopo l’attacco all’università di Garissa di giovedì 2 aprile, quando un gruppo di miliziani di Al Shabaab ha ucciso almeno 148 studenti, il governo keniano ha innalzato le misure di sicurezza durante le celebrazioni della Pasqua. In molte chiese sono state inviate guardie armate e agenti di polizia per proteggere i fedeli: nella cattedrale della Santa Famiglia di Nairobi la celebrazione della messa pasquale è difesa da poliziotti con mitra e per entrare in chiesa i fedeli devono passare attraverso un metal detector.
Innalzato anche il livello di allerta nei luoghi pubblici della capitale e nella regione della costa orientale. Willybard Lagho, prete cattolico di Mombasa, ha dichiarato che alcune chiese hanno assunto guardie di sicurezza private per proteggere le celebrazioni della domenica di Pasqua.
In Kenya i cristiani sono l’83 per cento su una popolazione di 44 milioni di persone. Dopo il massacro di Garissa Al Shabaab ieri ha minacciato nuovi attacchi evocando una “lunga e terribile guerra” e un “nuovo bagno di sangue”.
A Garissa e in quattro contee confinanti con la Somalia il governo ha imposto un coprifuoco e ha inviato elicotteri a monitorare il territorio. Dopo l’attacco il governo era stato criticato per aver trascurato il problema della sicurezza nella regione, nonostante cittadini e amministratori avessero ripetutamente espresso al governo i loro timori su possibili attacchi. Reuters
In un discorso alla televisione, il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta ha proclamato tre giorni di lutto nazionale dopo l’attacco del 2 aprile al campus universitario di Garissa, che ha provocato 148 morti. Kenyatta ha promesso di “rispondere il più severamente possibile” all’attentato del gruppo somalo Al Shabaab, assicurando che il paese non si piegherà alla minaccia dei jihadisti. Il Kenya, ha detto il presidente, farà di tutto per difendere il proprio stile di vita e impedirà la creazione di un califfato islamico.
Secondo Kenyatta il compito di contrastare il terrorismo è complicato dal fatto che “gli organizzatori e i finanziatori di questa violenza sono profondamente radicati nelle nostre comunità”. Afp
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