L’agenzia ufficiale di Pechino ha annunciato nella mattina del 3 settembre che il principale organo legislativo del governo comunista ha approvato “la proposta per ratificare” il trattato firmato al termine della conferenza mondiale sul clima, organizzata dall’Onu a Parigi nel dicembre 2015. Poche ore dopo, quando è arrivato al G20 di Hangzhou, in Cina, il presidente statunitense Barack Obama ha confermato l’approvazione anche del suo paese.
I due paesi producono insieme il 40 per cento delle emissioni globali di gas serra. Con questa ratifica si impegnano a rispettare tempi e vincoli stabiliti dall’accordo, che punta a contenere al di sotto dei 2 gradi centigradi l’aumento della temperatura del pianeta rispetto ai livelli dell’era preindustriale.
13 dicembre: Dopo dodici giorni di negoziati, alla Conferenza di Parigi viene approvato l’accordo internazionale sul clima, firmato da quasi duecento governi, tra cui quelli di Cina e Stati Uniti, i principali responsabili delle emissioni di gas serra. Il documento finale è presentato con 16 ore di ritardo rispetto alla scadenza prevista. Entrerà in vigore nel 2020. I paesi firmatari si impegnano a limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Tuttavia, non vengono fissati dei limiti nazionali alle emissioni.
Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, i tagli promessi sono insufficienti, ma l’accordo prevede che ogni cinque anni, a partire dal 2018, siano presi in considerazioni i progressi fatti nella riduzione delle emissioni da parte di tutti i paesi, per assicurarsi che l’obiettivo globale venga raggiunto. Il primo controllo quinquennale sarà quindi nel 2023.
L’accordo prevede anche che i paesi di vecchia industrializzazione eroghino cento miliardi all’anno (dal 2020) per promuovere in tutto il mondo le tecnologie a basso impatto ambientale e l’economia verde. Un nuovo obiettivo finanziario sarà fissato al più tardi nel 2025. Inoltre sono stati previsti dei rimborsi per compensare le perdite finanziarie causate dai cambiamenti climatici nei paesi più vulnerabili, che spesso sono anche i più poveri.
Scienziati e ambientaliste criticano l’accordo per diversi motivi.Fissare la prima revisione al 2018 è rischioso a causa della quantità di emissioni che potranno essere prodotte nei prossimi tre anni, che potrebbero compromettere il raggiungimento degli obiettivi dell’accordo. Inoltre non è stato fissato un calendario che porti alla progressiva, ma totale, sostituzione delle fonti energetiche fossili e i paesi emergenti, tra cui la Cina, hanno ottenuto che i controlli quinquennali siano condotti dai singoli paesi come autocertificazione, e non da organi internazionali.
Infine i gas di scarico di aerei e navi continueranno a sfuggire a ogni forma di controllo perché i trasporti internazionali collegano diversi paesi e nessuno vuole conteggiarne le emissioni.
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