L’11 aprile un tribunale peruviano ha condannato cinque uomini a quasi trent’anni di prigione per l’omicidio, avvenuto nel 2014, di quattro leader indigeni che si battevano contro il disboscamento illegale al confine con il Brasile.
La giudice Karina Bedoya Maque, del tribunale penale di Pucallpa, nella regione di Ucayali (est), ha condannato i fratelli Josimar e Segundo Atachi, José Estrada, Hugo Soria ed Eurico Mapes a 28 anni e tre mesi di prigione per “omicidio aggravato”.
La procura aveva chiesto condanne a 35 anni di prigione.
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I quattro leader indigeni – Edwin Chota, Jorge Ríos, Leoncio Quintisima e Francisco Pinedo – erano stati assassinati il 1 settembre 2014. L’omicidio aveva scatenato un’ondata di proteste contro le autorità peruviane, accusate di non fare abbastanza per proteggere le comunità indigene e per combattere il disboscamento illegale.
I familiari delle vittime hanno reagito alla sentenza esprimendo tutta la loro soddisfazione.
“È un giorno storico”, ha dichiarato all’Afp Lita Rojas, 47 anni, vedova di Quintisima, arrivata a Pucallpa dopo due giorni di viaggio via fiume e strada dalla comunità di Alto Tamaya-Saweto, al confine con il Brasile.
“Giustizia è fatta, è finita l’era dell’impunità per chi uccide i difensori dell’ambiente”, ha affermato sul social network X l’ong Derecho, ambiente y recursos naturales (Dar).
“Continueremo a difendere le foreste e i fiumi, lunga vita a Saweto!”, hanno gridato alcuni indigeni davanti al tribunale.
Secondo l’ong Global witness, dal 2012 in Perù sono stati uccisi almeno 54 ambientalisti, in maggioranza indigeni.
Negli ultimi anni i gruppi criminali hanno esteso le loro attività di disboscamento illegale ad aree controllate dalle comunità indigene.