Il 13 giugno il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto ai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) di mettere fine all’assedio di Al Fashir, capoluogo dello stato del Darfur Settentrionale, nell’ovest del Sudan, dove sono intrappolati centinaia di migliaia di civili.
La risoluzione, presentata dal Regno Unito, è stata approvata con 14 voti a favore e l’astensione della Russia.
Dal 15 aprile 2023 il Sudan è insanguinato da un conflitto tra l’esercito, guidato da Abdel Fattah al Burhan, capo della giunta militare al potere, e le Rsf, guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti.
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Unico capoluogo dei cinque stati in cui è stata divisa la regione storica del Darfur a non essere controllato dalle Rsf, Al Fashir era stata relativamente risparmiata dai combattimenti fino al mese scorso.
Il 10 maggio le Rsf hanno attaccato la città, facendo temere al segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres “un’allarmante svolta nel conflitto”.
“L’adozione della risoluzione invia un messaggio chiaro”, ha affermato l’ambasciatrice britannica Barbara Woodward.
“L’obiettivo è arrivare a un cessate il fuoco ad Al Fashir e dintorni, in modo da salvare vite umane”, ha aggiunto.
La risoluzione chiede “il ritiro di tutti i combattenti che minacciano la sicurezza dei civili” e invita le parti a “permettere agli abitanti che volessero farlo di lasciare la città”.
Le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie avvertono da mesi che il conflitto potrebbe causare violenze etniche su vasta scala nel Darfur.
Più di vent’anni fa la regione era stata insanguinata dagli attacchi contro la popolazione non araba compiuti dai janjawid – i miliziani che successivamente sono confluiti nelle Rsf – sostenuti dal presidente dell’epoca Omar al Bashir.
Dall’aprile 2023 il conflitto in Sudan ha causato decine di migliaia di vittime e circa nove milioni di sfollati.