Ursula von der Leyen è stata riconfermata dai leader europei alla guida della Commissione europea per altri cinque anni, tuttavia il dado non è ancora tratto: ora la leader tedesca dovrà ottenere la maggioranza dei consensi al parlamento europeo.

Prima donna a ricoprire la carica di presidente, Von der Leyen ha impresso il suo stile e ha avuto un approccio molto deciso con la politica: una scelta che le ha dato una grande visibilità, ma che ha anche sollevato critiche.

In campagna elettorale, negli ultimi mesi, ha fatto un gioco di equilibri: il suo principale successo legislativo, il green deal, sulla transizione verde, è stato ostacolato dagli agricoltori e da parte della sua stessa famiglia politica (il Partito popolare europeo, Ppe, conservatori). Quindi ha rivolto la sua attenzione a un tema molto lontano dalle questioni climatiche: la difesa militare dell’Europa.

“La minaccia di una guerra forse non è imminente, ma non è impossibile”, ha dichiarato qualche settimana fa ai parlamentari europei. In un discorso molto cupo ha fatto riferimento alle molte “illusioni europee infrante” e ha invitato l’Unione europea a svegliarsi.

Desiderosa di affermare il proprio ruolo e quello dell’Europa sulla scena internazionale, negli ultimi cinque anni ha spesso cambiato posizione con il rischio, a volte, di suscitare forti tensioni all’interno dei 27 stati, come durante un viaggio a Tel Aviv lo scorso ottobre, quando ha sostenuto il diritto di Israele a difendersi senza aggiungere che la risposta militare all’attacco di Hamas dovrebbe essere condotta in conformità con il diritto umanitario e internazionale.

Molto a suo agio sia in inglese sia in francese l’ex ministra della difesa tedesca è una comunicatrice meticolosa che lascia poco spazio all’improvvisazione.

Dal palazzo Berlaymont, l’imponente sede della Commissione europea nel cuore della capitale belga, si affida a una cerchia molto ristretta di persone, un modo di lavorare poco collegiale che sta suscitando critiche a Bruxelles.

Quando è stata nominata, con sorpresa di tutti, alla fine del 2019, l’accoglienza è stata fredda. Madre di sette figli, un tempo era considerata l’erede di Angela Merkel, prima che una serie di scandali ne offuscassero l’immagine in Germania, ma ha lasciato il segno a Bruxelles, città in cui è nata e cresciuta. “Durante il suo mandato ci sono state diverse situazioni di crisi in cui è stata presente e ha fatto in modo di essere il più visibile possibile nell’azione”, riassume un diplomatico europeo.

Di fronte allo shock della pandemia di covid-19 ha condotto un piano di rilancio europeo da 750 miliardi di euro, finanziato da un debito comune senza precedenti, simbolo tangibile della solidarietà europea. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel febbraio 2022, ha proclamato a gran voce il suo sostegno a Kiev e ha definito una strategia per spezzare la sua dipendenza energetica da Mosca.

Nel 2019 il parlamento europeo gli ha dato la fiducia con una maggioranza molto risicata (nove voti). Questa volta potrebbe essere ancora più difficile. Gli restano tre settimane per convincere almeno 361 eurodeputati a conferirgli un secondo mandato in un momento di grandi sconvolgimenti geopolitici.