Il presidente venezuelano Nicolás Maduro, 61 anni, è stato rieletto il 28 luglio per un terzo mandato, ma l’opposizione, sostenuta da una parte della comunità internazionale, ha contestato i risultati annunciati dal Consiglio nazionale elettorale (Cne), che accusa di prendere ordini dal governo.
Secondo i risultati parziali, con l’80 per cento delle schede scrutinate, Maduro, che rivendica l’eredità politica dell’ex presidente Hugo Chávez (1999-2013), ha ottenuto il 51,2 per cento dei voti, contro il 44,2 per cento del candidato dell’opposizione Edmundo González Urrutia. Il tasso di partecipazione è stato del 59 per cento.
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“I risultati sono irreversibili”, ha dichiarato il presidente del Cne Elvis Amoroso, un alleato di Maduro che in passato ha dichiarato ineleggibili vari leader dell’opposizione. Amoroso è uno dei funzionari sanzionati dagli Stati Uniti per il loro ruolo nella crisi venezuelana.
“Abbiamo vinto con il 70 per cento dei voti, il Venezuela ha un nuovo presidente eletto ed è Edmundo González Urrutia”, ha affermato invece la leader dell’opposizione María Corina Machado, che non si era potuta candidare in quanto dichiarata ineleggibile dalle autorità.
“Sappiamo tutti come sono andate le cose oggi”, ha aggiunto. “E quando dico tutti, intendo anche il regime”.
“I veri risultati non possono essere ignorati, il paese ha scelto un cambiamento pacifico”, ha scritto González sul social network X.
L’opposizione puntava a mettere fine a venticinque anni di governo chavista.
Il 29 luglio il segretario di stato statunitense Antony Blinken ha espresso seri dubbi sull’esito del voto: “Temiamo che i risultati non riflettano la volontà del popolo venezuelano”.
“I risultati annunciati dalla commissione elettorale sono difficili da credere”, ha affermato invece il presidente cileno di sinistra Gabriel Boric. “Il Cile non riconoscerà risultati che non possano essere verificati”.
“Dittatore Maduro, fuori!”, ha scritto il presidente argentino Javier Milei sul social network X. “I venezuelani hanno deciso di mettere fine alla dittatura comunista di Nicolás Maduro”.
Ignorando queste reazioni, Maduro, vestito con una tuta con i colori della bandiera venezuelana, è salito su un palco vicino al palazzo presidenziale di Caracas per festeggiare la vittoria con i suoi sostenitori.
“Avremo pace, stabilità e giustizia”, ha affermato, dopo che la campagna elettorale si è svolta in un clima di tensione, con l’opposizione che ha denunciato intimidazioni e arresti.
Nonostante una crisi economica senza precedenti e sondaggi favorevoli all’opposizione, Maduro si è sempre mostrato sicuro della vittoria.
Il Venezuela, che per anni è stato uno dei paesi più ricchi dell’America Latina, si trova in condizioni disastrose: la produzione di petrolio è crollata, il pil si è ridotto dell’80 per cento in dieci anni, il sistema sanitario e quello scolastico sono a pezzi, e sette milioni di venezuelani sono fuggiti all’estero.
Il governo accusa un “blocco criminale” guidato dagli Stati Uniti di essere responsabile dei problemi del paese. Washington ha inasprito le sanzioni contro il Venezuela dopo la contestata rielezione di Maduro nel 2018.
Il presidente venezuelano ha invece ricevuto il sostegno dei suoi tradizionali alleati: i presidenti di sinistra di Cuba (Miguel Díaz-Canel), del Nicaragua (Daniel Ortega), della Bolivia (Luis Arce), e dell’Honduras (Xiomara Castro).
Nelle ultime settimane Caracas ha ostacolato il lavoro degli osservatori elettorali internazionali. L’invito alla missione dell’Unione europea era stato ritirato a maggio e altri osservatori erano stati bloccati all’ultimo momento, compresi quattro ex presidenti latinoamericani il 26 luglio.