Il 5 agosto un giudice statunitense ha inflitto a Google un duro colpo, stabilendo in un caso di concorrenza sleale che il colosso tecnologico detiene un monopolio.
La decisione potrebbe modificare il modo in cui il settore opererà in futuro. Il giudice della corte distrettuale Amit Mehta ha stabilito che Google ha mantenuto un monopolio per la ricerca e per gli annunci online attraverso accordi di distribuzione esclusiva del suo motore di ricerca che l’hanno resa l’opzione “predefinita” sui dispositivi tecnologici di uso comune.
“Dopo aver attentamente considerato e soppesato le testimonianze e le prove, la corte giunge alla seguente conclusione: Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio”, ha scritto Mehta nella sua sentenza. Il colosso “ha un vantaggio importante, in gran parte invisibile, rispetto ai suoi rivali: la distribuzione”, ha aggiunto.
Il processo sulla concorrenza sleale che oppone i pubblici ministeri statunitensi a Google si è concluso a maggio con un’udienza di due giorni. Il caso è stato il primo di cinque importanti cause intentate dal governo degli Stati Uniti contro Meta, Amazon, Apple e Google.
È la prima volta che il dipartimento di giustizia statunitense affronta in tribunale una grande azienda tecnologica da quando, più di vent’anni fa, Microsoft fu presa di mira per il suo sistema operativo Windows.
Mehta ha presieduto diversi mesi di testimonianze alla fine dello scorso anno, che hanno visto salire sul banco dei testimoni l’amministratore delegato di Google Sundar Pichai e altri dirigenti di alto livello.
Al centro del caso del governo c’erano i cospicui pagamenti effettuati da Google a Apple per mantenere il suo motore di ricerca come predefinito sull’iPhone e altri prodotti. Le testimonianze in tribunale hanno rivelato che questi pagamenti raggiungono le decine di miliardi di dollari ogni anno per mantenere il loro spazio privilegiato.
Gli avvocati del dipartimento di giustizia hanno sostenuto che Google ha raggiunto e perpetuato la sua posizione dominante attraverso questi accordi predefiniti che si sono estesi anche alla Samsung e ad altri produttori. Mehta ha tuttavia concluso che la violazione dello Sherman act da parte di Google non ha avuto “effetti anticoncorrenziali”.