Il 5 dicembre una coalizione ribelle a guida jihadista ha conquistato la città di Hama, nel centro del paese, quattro giorno dopo aver assunto il controllo di Aleppo. L’esercito siriano ha riconosciuto di aver dovuto lasciare la città.
Hama si trova in posizione strategica sulla strada per Homs e la capitale Damasco, le uniche due grandi città ancora in mano al regime di Bashar al Assad.
In appena otto giorni di offensiva la coalizione ribelle, guidata dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al Sham (Hts), ha conquistato un ampio territorio tra le province di Idlib, Aleppo e Hama.
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Cosa succede in Medio Oriente. A cura di Francesca Gnetti. Ogni mercoledì.
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“I ribelli sono entrati in vari quartieri di Hama, dove sono in corso combattimenti con le forze governative”, aveva affermato la mattina del 5 dicembre l’ong Osservatorio siriano per i diritti umani.
“I nostri combattenti hanno fatto irruzione nella prigione centrale di Hama e hanno liberato centinaia di persone detenute ingiustamente”, ha dichiarato Hassan Abdel Ghani, un capo militare della coalizione ribelle.
L’esercito siriano ha poi riconosciuto in un comunicato di aver perso il controllo della città: “Nelle ultime ore i terroristi sono entrati in forze ad Hama, costringendo le forze governative a ripiegare”.
La sera del 4 dicembre l’ong, che ha sede a Londra ma dispone di una vasta rete d’informatori in Siria, aveva riferito che “la coalizione ribelle ha circondato il 75 per cento di Hama, con l’esclusione della parte sud”.
Il leader dell’Hts Abu Mohammed al Jolani ha promesso che non ci sarà “nessuna vendetta” ad Hama, dove nel 1982 l’esercito aveva represso nel sangue un’insurrezione dei Fratelli musulmani.
La Russia e l’Iran, i principali alleati di Damasco, e la Turchia, che sostiene i ribelli, sono in “stretto contatto” per stabilizzare la situazione, ha affermato il 4 dicembre il ministero degli esteri russo.
Il segretario di stato statunitense Antony Blinken ha messo in guardia da un possibile ritorno nel paese del gruppo Stato islamico, che nel 2014 aveva proclamato un califfato a cavallo della Siria e dell’Iraq, prima di essere sconfitto.
Dal 27 novembre i combattimenti hanno causato la morte di almeno 727 persone, tra cui 111 civili, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Secondo le Nazioni Unite, più di 115mila persone sono state costrette a lasciare le loro case.