Tra il 5 e il 6 febbraio centinaia di manifestanti hanno distrutto alcuni edifici legati all’ex premier Sheikh Hasina in Bangladesh.
Hasina, che ha governato il paese con il pugno di ferro dal 2009 al 2024, era fuggita in India nell’agosto scorso dopo settimane di disordini.
Accusata dalla giustizia bangladese di crimini contro l’umanità, è oggetto di vari mandati d’arresto internazionali.
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La sera del 5 febbraio centinaia di manifestanti, armati di martelli e spranghe, hanno vandalizzato e incendiato nella capitale Dhaka la casa museo dedicata al padre di Hasina, il primo presidente del paese Sheikh Mujibur Rahman.
Il giorno dopo la demolizione è stata completata con una ruspa, senza che la polizia intervenisse, hanno osservato i giornalisti dell’Afp.
Secondo alcuni testimoni, due esponenti della Lega Awami, il partito dell’ex premier, sono rimasti feriti.
Sotto la guida degli studenti protagonisti dei disordini dell’estate scorsa, i manifestanti hanno preso di mira la casa museo dopo aver saputo che Hasina si sarebbe rivolta ai suoi sostenitori sui social network.
Nel suo messaggio Hasina ha poi accusato i reponsabili della sua caduta di “cospirare contro il popolo bangladese”.
Il governo ad interim, guidato dal premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, ha attribuito a Hasina la responsabilità delle proteste del 5 e 6 febbraio.
“Questi incidenti avrebbero potuto essere evitati se Hasina non avesse provocato il popolo bangladese con commenti inutili, falsi e odiosi”.
Oltre alla casa museo, i manifestanti hanno preso di mira altri edifici legati alla famiglia di Hasina, tra cui una casa dell’ex marito a Dhaka e un immobile a Khulna, nel sudovest del paese.
L’organizzazione per i diritti umani Ain O Salish Kendra (Ask) ha condannato questi attacchi.
Hafizuddin Ahmed, uno dei leader del Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp), il principale partito d’opposizione sotto il regime di Hasina, ha affermato che “queste azioni possono ostacolare la transizione democratica”.