L’8 aprile la corte suprema israeliana ha invitato il governo e la procuratrice generale dello stato a trovare un accordo sul licenziamento di Ronen Bar, il capo del servizio di sicurezza interno Shin bet.
“Vi diamo tempo fino alla conclusione della Pasqua ebraica, il 19 aprile, per raggiungere un accordo di compromesso”, ha dichiarato il presidente della corte suprema Yitzhak Amit, precisando che in caso contrario sarà la corte a decidere.
L’udienza dell’8 aprile è stata sospesa temporaneamente a causa delle liti tra sostenitori e oppositori del governo, prima di riprendere a porte chiuse.
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Cosa succede in Medio Oriente. A cura di Francesca Gnetti. Ogni mercoledì.
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Il 21 marzo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva annunciato il licenziamento di Bar, citando “la fine del rapporto di fiducia”.
Tuttavia, la corte suprema aveva sospeso il licenziamento per esaminare la questione, fissando una scadenza l’8 aprile.
Durante l’udienza dell’8 aprile la corte ha stabilito che Bar potrà continuare a esercitare le sue funzioni in attesa di una decisione definitiva, mentre il governo potrà valutare, ma non nominare, possibili candidati alla successione.
Netanyahu ha definito “strana” la decisione della corte.
Il licenziamento di Bar è contestato dall’opposizione e dalla procuratrice generale dello stato Gali Baharav-Miara, secondo cui la decisione è “fondamentalmente errata” e “viziata da un conflitto d’interessi del primo ministro”.
Il 31 marzo Netanyahu aveva riferito di essere stato chiamato a testimoniare nell’ambito del cosiddetto Qatargate, un’inchiesta dello Shin bet su persone vicine al premier sospettate di aver ricevuto tangenti dal Qatar.
Il licenziamento del capo dello Shin bet e l’avvio di una procedura di destituzione nei confronti di Baharav-Miara ha causato un’ondata di proteste in Israele, dove molti denunciano una svolta autoritaria di Netanyahu.
La mobilitazione è stata alimentata anche dall’approvazione alla Knesset, il parlamento israeliano, di una legge che rafforza l’influenza del potere politico nella nomina dei giudici.