In un momento segnato da notizie finanziarie che sembrano sempre più negative ogni giorno che passa, la mia attenzione è stata calamitata dalla storia di un uomo che ha voluto mollare tutto. Andrew Formica, 51 anni, amministratore delegato di una società di investimenti da 68 miliardi di dollari, ha improvvisamente lasciato il lavoro. Formica non aveva un altro impiego che lo aspettava. Non aveva nulla, a quanto pare. Quando gli hanno chiesto con insistenza quali fossero i suoi piani, ha risposto: “Voglio soltanto andare in spiaggia, sedermi e non fare niente”.
Facile, giusto? Be’, non per molti di noi. Oltre al fatto che c’è bisogno di una certa solidità finanziaria per smettere di lavorare, “non fare nulla è un lavoro terribilmente duro”, come dice Algernon in L’importanza di chiamarsi Ernesto, di Oscar Wilde. Posso immedesimarmi senza problemi in questa prospettiva. Lavoro per molte ore al giorno e a volte ho pensato di staccare per un paio di settimane e starmene senza fare niente. Ma quando ci ho provato, ho scoperto di esserne del tutto incapace. Le chiacchiere futili mi infastidiscono. Dopo mezz’ora passata a guardare un film ho il formicolio alle gambe. Starmene seduto in spiaggia è una forma di tortura. Ogni volta che faccio uno sforzo per riposarmi, la mia mente torna al lavoro che ho abbandonato.
Eppure, per quanto possa essere difficile metterla in pratica, Formica ha avuto l’idea giusta. In nome della felicità gli stacanovisti di tutto il mondo e di ogni reddito dovrebbero imparare a fermarsi. Se fate parte di questa categoria, riuscire a riposarvi dovrebbe essere in cima alla lista delle cose da fare.
Oziare senza sensi di colpa
Aristotele definì il lavoro come l’attività utile. Lo svago, nella sua ottica, era qualcosa che l’uomo faceva soltanto per prendersi una pausa dal lavoro, in modo da poter tornare a lavorare alla fine dell’intervallo. Secondo il filosofo l’ozio era qualcosa di diverso, un fine in sé, l’apice della vita umana. Quasi un elemento divino. Josef Pieper, filosofo del ventesimo secolo, era d’accordo con Aristotele, e definì il tempo libero come “la base della cultura”.
Per molti anni l’ozio è stato considerato la promessa dorata della prosperità. Nel 1930 l’economista John Maynard Keynes predisse che i suoi nipoti avrebbero lavorato appena tre ore al giorno. Per Keynes il duro lavoro non era un fine, ma un mezzo per ottenere qualcosa di più piacevole: la pace, il rilassamento, la libertà dalle preoccupazioni quotidiane. La sua previsione partiva dal presupposto che l’ozio fosse una tendenza naturale, attuabile senza alcun esercizio preliminare né sforzo, e non necessitasse di alcuna esperienza. Ma, come posso confermarvi personalmente, per molte persone questa supposizione non è valida. Forse è per questo che Keynes ammise che nonostante la prosperità crescente del mondo, non esisteva “nessun paese né nessun popolo” che potesse “immaginare l’età dell’ozio e dell’abbondanza senza provare terrore. Questo perché siamo stati addestrati per troppo tempo a faticare senza divertirci”.
Anche quando, nel 2020, molti di noi hanno avuto un’occasione d’oro per ridurre il numero delle ore dedicate al lavoro e agli spostamenti, in pochi l’hanno colta. Nei primi mesi della pandemia, tra i lavoratori della cultura la media lavorativa è aumentata di 48,5 minuti. Nel mio caso l’aumento non è arrivato soltanto dall’occupazione del tempo precedentemente dedicato a raggiungere il posto di lavoro. Mi sono ritrovato anche a sottrarre tempo alle mie serate e ai miei fine settimana, come se il lavoro fosse un’erba infestante inarrestabile. Quando la mia casa si è trasformata nel mio ufficio, i confini che separavano il lavoro dalla vita privata sono svaniti e non sono stato più in grado di sfuggire al lavoro. Volevo più tempo libero e lo avevo davanti a me, a portata di mano. Eppure mi sembrava stranamente inaccessibile.
Parte del motivo per cui molte persone evitano l’ozio è legata al fatto che abbiamo imparato a monetizzare il nostro tempo. Gli statunitensi si sono sentiti dire per tutta la vita che il tempo è denaro. Possiamo anche lavorare nella prospettiva di avere un po’ di tempo libero, ma in realtà “spendere” questo capitale ci fa sentire come se stessimo perdendo denaro. Non c’è da stupirsi se siamo costantemente tentati di tornare al lavoro.
Anteporre il tempo libero al lavoro, anche quando abbiamo già lavorato abbondantemente nel corso della nostra vita, ci fa sentire in colpa. Nel 1932 il filosofo Bertrand Russell, noto maniaco del lavoro, parlava di “una coscienza che mi ha costretto a lavorare duramente”. Russell riconosceva che questa coscienza era dannosa e propose una campagna per “indurre i giovani a non fare nulla” (non esistono prove del fatto che il filosofo abbia messo in pratica il proprio consiglio, e non credo che lo abbia mai fatto nessun altro).
Quando l’ozio non ci fa sentire in colpa, spesso rischia di annoiarci. La chimica del nostro cervello è sintonizzata sull’intrattenimento costante e di conseguenza l’indolenza ci risulta estremamente fastidiosa. In uno studio del 2014 alcuni ricercatori hanno lasciato un gruppo di persone da sole in una stanza per un periodo compreso tra i 6 e i 15 minuti, senza niente da fare. I partecipanti hanno intrapreso qualsiasi attività possibile, compresa quella di autoinfliggersi un elettroshock. Perfino il dolore (e persino Twitter) è meglio che restare da soli con i propri pensieri.
Nonostante le difficoltà, imparare a non fare niente ci farebbe bene. Lasciare che il pensiero vaghi liberamente mentre si eseguono compiti semplici e non strutturati può migliorare la nostra creatività e la nostra capacità di risolvere problemi. I pensieri inconsci durante fasi di riposo possono produrre idee più originali. Si dice che Cartesio abbia inventato il suo rivoluzionario sistema di coordinate mentre era a letto e osservava una mosca sul tetto, mentre Einstein avrebbe formulato la sua teoria delle relatività generale mentre “sognava a occhi aperti”. Annoiarsi un po’ può essere tonificante. Nel 2014 un ricercatore ha scritto su Frontiers in Psychology che la noia può spingerci a considerare più significative le nostre attività quotidiane. Anche se non esistono studi precisi in merito, sospetto che il “far niente”, se fatto bene, ci renda più felici.
Forse per alcuni di voi l’ozio è un’attività naturale. Se è così, vi faccio le mie invidiose congratulazioni. Se invece siete come me, ecco tre passi da intraprendere per migliorare le vostre abilità nella pratica dell’indolenza.
- Cominciate con poco
Gran parte di noi ha assorbito fin dall’infanzia l’idea che l’ozio sia un’abitudine da evitare. In realtà è vero il contrario: dovremmo tutti sviluppare questa abitudine. Ma le abitudini hanno bisogno di molta pratica per attecchire. Prima di provare a sedervi su una spiaggia senza fare nulla per una settimana intera, cominciate prendendovi qualche minuto ogni giorno. State seduti in un luogo pacifico per cinque minuti, meglio se con la possibilità di osservare qualcosa di bello. Evitate ogni dispositivo tecnologico in modo da permettere alla vostra mente di entrare in quello che gli scienziati definiscono “default-mode network”, ovvero lo stato in cui le regioni del cervello utilizzate per il lavoro di concentrazione possono riposare. Quando cinque minuti cominceranno a sembrarvi un compito facile, aumentate il tempo di ozio di altri cinque minuti. Andate avanti fino a quando non sarete capaci di oziare per venti minuti al giorno.
- Fate una vacanza destrutturata
Il professore di ingegneria presso l’università della Virginia Leidy Klotz sostiene che una delle tecniche più sottovalutate per migliorare la nostra vita sia quella di eliminare le complicazioni. Klotz ha guidato un esperimento in cui i soggetti ricevevano un itinerario intensivo per una vacanza ma avevano la possibilità di eliminare alcune attività. Nonostante il programma fittissimo, in pochi hanno scelto di farlo, forse perché temevano di perdersi qualcosa di importante. Klotz sostiene che sia la scelta sbagliata, e io sono d’accordo con lui.
Quando avrete perfezionato l’arte dell’ozio quotidiano, seguite questo principio fino all’estremo organizzando una vacanza in cui potrete godere di un’ozio illimitato. Probabilmente non trascorrerete tutte le giornate guardando un muro, ma avrete comunque l’occasione di beneficiare del vero riposo, qualcosa che soltanto l’ozio può regalare. Di sicuro non trasformerete la vostra vacanza in un’altra forma di lavoro.
- Scegliete la soft fascination
Durante la vostra vacanza destrutturata vi consiglio di scegliere attività che possono attirare gentilmente la vostra attenzione lasciandovi al contempo la possibilità di vagare con il pensiero. È quella che gli psicologi dell’università del Michigan chiamano soft fascination, uno stato raggiungibile camminando nella natura o osservando le onde. Al contrario la hard fascination (lo stato che si raggiunge, per esempio, guardando la tv), monopolizza l’attenzione ed esclude il pensiero rilassato. I ricercatori hanno scoperto che la soft fascination è più rinvigorente di quella hard. Per esempio in uno studio del 2018 i partecipanti hanno dichiarato che camminare nella natura era il 15 per cento più utile per “estraniarsi” rispetto a guardare la tv.
Certo, c’è sempre il rischio di esagerare con questa difesa dell’ozio e diventare persone pigre che alla domanda “cosa fai?” rispondono “faccio il meno possibile”. Il trucco è evitare di diventare un maniaco del lavoro ma anche uno sfaccendato. Si tratta di trovare un equilibrio tra il lavoro e l’ozio in cui nessuna delle due attività sia trascurata o sovrastata dall’altra. Entrambe dovrebbero essere praticate con serietà e determinazione nei luoghi e nei momenti adatti.
Se programmare l’ozio vi sembra innaturale, pensate al fatto che per mantenere una buona salute è necessario programmare i pasti e l’attività fisica ogni giorno. Programmate lo “spazio bianco” nella vostra giornata e tenetevi lontani dalle necessità tiranniche del lavoro (ma anche dal cibo e dall’esercizio fisico). Se vi sentirete in colpa o avrete la sensazione di “sprecare” il tempo e con esso il denaro, ricordate le parole del poeta gallese William Henry Davies: “È una vita povera questa, se, pieni di preoccupazioni, non abbiamo il tempo di fermarci e osservare”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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