For Sama è il film più potente mai uscito sulla guerra in Siria. La regista, Waad al Kateab, l’ha girato ad Aleppo nel 2016, durante l’assedio della città, e ha lavorato come una giornalista embedded, però non a fianco dei combattenti ma delle vittime della guerra, soprattutto bambini.
For Sama ha ricevuto il premio L’Oeil d’Or per il miglior documentario al festival di Cannes, che le ha dedicato una standing ovation di cinque minuti. Il Medfilm festival di Roma le ha appena assegnato il premio di Amnesty international. Questa opera mista, filmata da una giornalista impegnata a documentare la realtà e prodotta come una fiction insieme all’inglese Edward Watts, realizza un’indagine profonda sull’amore, l’impegno e il senso della libertà.
Chi non ricorda le foto di quei bambini ricoperti di sabbia e sangue, appena usciti dalle macerie di casa loro, lo sguardo perso, sotto shock, durante il terribile assedio di Aleppo? Waad al Kateab filma questi bambini mettendosi alla loro altezza, al loro livello. Li interroga spesso nel tentativo, si percepisce, di farli uscire dal torpore e dai loro silenzi turbati. Waad al Kateab ha filmato i civili siriani, i feriti portati nell’ultimo ospedale di Aleppo che provava a funzionare con strumenti di fortuna. Gli altri ospedali della città sono stati sistematicamente bombardati dagli aerei russi in sostegno al regime di Bashar al Assad.
Hamza, il suo amico d’infanzia, il suo amore, che diventerà suo marito durante l’assedio, dirige questo ultimo ospedale di fortuna della città. È un medico impegnato a curare i feriti ma anche a descrivere con precisione cosa sta succedendo. Parla con la stampa internazionale per dare numeri e fatti, è un punto di riferimento ad Aleppo: è lui che i mediatori delle Nazioni Unite chiamano per annunciare una tregua e per assegnare un lasciapassare ai civili. Waad vive con lui e la loro bambina nell’ospedale e così, dopo ogni bombardamento, scende nelle sale dell’accoglienza e documenta l’orrore.
For Sama è un film concepito come una lettera, narrata con la voce dolce di una giovane madre. Ricorda i toni dei film della nouvelle vague, in cui la voce narrante interroga il reale, le azioni dei personaggi. La protagonista assoluta del film ha un anno, si chiama Sama (cielo in arabo) ed è nata durante la guerra. Il film le è dedicato, anche per chiederle perdono: perché averla fatta nascere in quest’inferno?, si chiede Waad. Perché non averla lasciata con i nonni, fuggiti in Turchia? Semplicemente perché Sama è diventata l’unica speranza. Non soltanto per i suoi genitori ma anche per tutti quelli che lavorano all’ospedale.
La voce narrante di Aleppo
La giornalista cerca di spiegare alla bambina, per quando diventerà adulta, il motivo per cui i suoi genitori si sono rifiutati, perché era importante – e lo è ancora – la loro speranza. Con la dolcezza dell’accento di Aleppo, Waad parla a sua figlia con un tono misurato e dignitoso, anche davanti all’orrore. Non si tratta di spaventare la bambina, ma di spiegare. Waad filma tutto, e quindi anche il bambino di cinque anni morto all’arrivo all’ospedale e pianto dai suoi fratellini appena più grandi di lui. Spesso si vorrebbe girare la testa e smettere di guardare. Arrivano così tanti bambini che muoiono davanti ai nostri occhi. E poi, quando uno è convinto che la regista sia andata oltre e che smetterà di colpirci con questo spettacolo macabro, si sentono le urla di una madre. Grida, dice a suo figlio che ha il latte per lui, insiste a volerlo prendere in braccio. Ma il bambino è morto. Waad filma la scena e quando la madre si gira verso di lei, e quindi verso di noi spettatori, urla: “Filma! Filma! Fai vedere che cosa ci sta facendo il nostro presidente”. I siriani sotto assedio credevano che il mondo li avrebbe aiutati appena avesse saputo quello che stava accadendo in quell’angolo di pianeta.
Il regime di Bashar al Assad sostenuto delle forze aeree russe ha bombardato e assediato la città ribelle di Aleppo per quattro lunghissimi anni. All’epoca ci furono accuse di uso di armi chimiche, bombardamenti accusati di essere stati architettati dai ribelli. For Sama dà anche la prova concreta che il regime stava mirando strategicamente agli ospedali, come documentato dalle organizzazioni per i diritti umani come Human rights watch o Amnesty international. Il rapporto di Amnesty nel 2017 descrive dieci attacchi contro aree residenziali di Aleppo tra luglio e dicembre 2016: “L’analisi delle immagini satellitari ha mostrato come gli attacchi abbiano colpito lontano dalla linea del fronte, senza che vi fosse alcun obiettivo nei pressi, distruggendo centinaia di strutture tra cui appartamenti, ospedali e un mercato. ‘Mentre l’obiettivo dichiarato del governo siriano era quello di sconfiggere i combattenti armati, il suo cinico uso della strategia ‘o resa o fame’ ha dato luogo a una devastante combinazione di assedi e bombardamenti che in quanto parte di un attacco sistematico e diffuso contro i civili costituiscono crimini contro l’umanità’”.
Bombardare gli ospedali è una delle più gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, ma il film illustra anche cosa significa vedere medici in camice verde intrappolati sotto i bombardamenti, mentre tentano impotenti di coprire i pazienti che stavano operando, madri che partoriscono mentre tutto è distrutto.
L’atteggiamento di Waad, il suo sguardo e il suo metodo rivelano anche una profonda coscienza del ruolo delle donne. È una giornalista che lavora e si occupa di sua figlia e che in un attimo passa da una descrizione della realtà molto intima al reportage di guerra. Nella prima scena del film, mentre la giovane mamma sta filmando la sua bambina sorridente che gioca con i suoi piedini, nell’ospedale esplode in diretta una bomba. “Qualcuno prenda Sama!”, grida la donna, perché lei deve prendere subito la sua videocamera e cominciare a filmare.
È spesso difficile riconoscere Waad. Quando si filma si mostra con molti volti diversi, con velo o senza, con cappelli di lana, in vestito da sposa. Riesce a descrivere la femminilità durante la guerra con mille sfaccettature: si ritrae come giovane donna felice della casa nuova, del giardino dove pianta alberi e cura la buganvillea. Si filma anche mentre fa il test di gravidanza, quando annuncia ad Hamza che è incinta, si filma anche quando, in pigiama, esausta, prova a rassicurare la bambina malgrado le bombe.
Come giornalista, Waad era una fonte molto rispettata durante l’assedio. Lavorava per il canale britannico Channel 4 per cui ha prodotto video potentissimi. Quando parla inglese nei suoi video è ancora più straziante, si percepisce che attraverso l’inglese prova ad attirare l’attenzione del mondo sull’orrore che stanno vivendo i siriani. Come lei, molti aleppini credevano che il mondo li avrebbe aiutati se avesse saputo la verità. Invece, il mondo è rimasto in assoluto silenzio.
Per noi, spettatori di For Sama, c’è però una consolazione. I membri di questa piccola e bellissima famiglia coraggiosa sono vivi. Il loro coraggio e la loro speranza fanno ricredere nell’umanità. Come molti siriani scampati ai bombardamenti ci ricordano quello che in Europa si ricordano ormai solo pochi anziani, spiega Waad: il solo fatto di essere vivi ha valore.
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