L’ultimo album di John Grant sembra fuori dal tempo. I ricordi della sua infanzia in Michigan, l’adolescenza a Denver e le riflessioni su un sogno americano ormai infranto sono proiettati in un futuro industriale e inquietante. Grant ha conquistato il ruolo di crooner che piace anche agli amanti dell’elettronica, e questa dualità segna anche il suono di Boy from Michigan. Prodotto insieme all’amica e collega Cate Le Bon, il disco si apre con una traccia epica di otto minuti introdotta da synth futuristici, seguiti poi dalle percussioni che ci trascinano nel ritmo incalzante dettato dal basso e dal sassofono. Grant si lancia in una delle sue narrazioni più ricche e intricate, che si rivelano lentamente tra buoni e cattivi, in cui il più cattivo di tutti è Donald Trump. Il disco richiede un ascolto intenso e attento, punteggiato da momenti bizzarri e giocosi. Grant tira fuori senza abusarne tutto l’arsenale: la voce versatile, bagliori di cosmic pop, riferimenti agli anni ottanta, flauti e assoli di sax. Una varietà di trame e atmosfere si uniscono per creare qualcosa che riesce a essere allo stesso tempo calmo, arrabbiato, claustrofobico, arioso e nostalgico. Lauren Down, The Line Of Best Fit

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Questo articolo è uscito sul numero 1415 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati