“Adesso le piogge erano cominciate sul serio”, scrive Chinua Achebe nel romanzo Le cose crollano (La nave di Teseo 2016), ambientato nella Nigeria dell’ottocento. “Così forti e continue che anche il mago della pioggia del villaggio ammise di non poter più farci nulla. Non poteva fermarle, come non poteva cercare di farle cominciare durante la stagione secca, senza rischiare seriamente la propria salute”. Nelle società agricole come quella descritta da Achebe, l’economia e il meteo si muovono in parallelo. Se le piogge arrivano al momento giusto, il raccolto è ricco e porta benessere. Al contrario, la siccità porta fame e morte. Il mago della pioggia – un po’ come un banchiere centrale – potrebbe cercare di facilitare il ciclo degli affari, intervenendo per gettare letteralmente acqua sul fuoco se la situazione si surriscalda troppo. In definitiva, però, è il potere della natura a decidere i risultati.
Con la crisi energetica dell’Europa si è tornati a un’economia determinata dal meteo. La crisi ci ha ricordato che perfino i paesi più ricchi, per quanto possano essere tecnologicamente avanzati, dipendono dai doni della natura. Economisti, finanzieri e politici europei scrutano con attenzione le previsioni del tempo: un inverno mite sarà utile, perché si dovrà bruciare meno gas per scaldare le case e i prezzi dell’energia si abbasseranno favorendo la crescita; un inverno gelido, invece, spingerà milioni di persone verso la povertà, farà crescere l’inflazione e terrà chiuse le fabbriche.
I combustibili fossili avevano promesso di liberare l’economia dalle incertezze delle stagioni. Invece di fare affidamento sull’energia solare – quella catturata nei cereali, custodita dal bestiame o sottoposta a fotosintesi, trasformata in biomassa e poi consumata sotto forma di legna da ardere – l’umanità poteva bruciare il carbone. L’uso di combustibili fossili permette d’immagazzinare l’energia, trasportarla e usarla quando serve.
La storica dell’economia Ann Kussmaul ha seguito la diffusione della rivoluzione industriale in Inghilterra, cercando di capire in che momento l’economia di ogni regione smise di dipendere dall’andamento delle stagioni. I certificati di matrimonio delle parrocchie sono un buon indicatore di quanto i combustibili fossili abbiano liberato i lavoratori dai ritmi della natura, legandoli invece ai turni in fabbrica. Prima dell’industrializzazione i matrimoni in pianura si celebravano spesso in inverno, dopo il raccolto; in collina invece in estate, dopo la fine della stagione della tosatura. Con l’industrializzazione questi schemi sparirono, in particolare nelle zone che per prime adottarono le tecniche di produzione basate sui combustibili fossili.
Pressioni molto alte
Cent’anni dopo, nel Regno Unito e in altre parti d’Europa che si staccano dal gas russo sta tornando la stagionalità. Le ragioni di questo ritorno sono in parte materiali. Il gas naturale è molto più difficile da trasportare e immagazzinare del carbone o del petrolio. In passato l’Europa ha beneficiato del gas inviato in abbondanza dalla Russia attraverso i gasdotti, ma ha anche ricevuto aggiunte di gas naturale liquefatto dall’estero via mare. Oggi le forniture sono ridotte e gli europei devono affidarsi soprattutto a ciò che arriva dal mare. Le strutture di stoccaggio sono già piene per più del 90 per cento e riempire gli ultimi spazi disponibili è costoso, perché il gas deve essere mantenuto a pressioni molto alte. Con la riduzione delle forniture, ogni variazione della domanda influenza fortemente il prezzo dell’energia, e tra i fattori che determinano la domanda il meteo è il meno prevedibile.
L’autunno ha risparmiato il peggio all’Europa, che ha avuto l’ottobre più caldo di sempre. Di conseguenza il prezzo del gas sul mercato Title transfer facility (Ttf) di Amsterdam, punto di riferimento per il continente, è sceso a cento euro al megawattora, la metà rispetto a settembre.
Ora, però, l’inverno comincia a farsi sentire. In Germania sono arrivate le prime nevicate, e più fa freddo, più gas servirà. Gli impianti di riscaldamento delle abitazioni sono rimasti spenti più a lungo del solito. I prezzi delle coperte stanno salendo. Le persone sono disposte a coprirsi di più per resistere alla minaccia della Russia.
Ma la crisi del gas non è l’unico motivo per cui si fa più attenzione al clima. Oggi le fonti rinnovabili forniscono all’Europa molta più energia rispetto a qualche anno fa, e se il vento non soffia o il sole non splende, sono guai. Quest’anno anche l’energia idroelettrica è stata un problema per l’Europa, dopo che un’estate caldissima ha prosciugato i bacini idrici e i fiumi da cui dipendono le dighe. Migliorare e investire sui modi per immagazzinare l’elettricità – batterie, idrogeno o altre tecniche – potrebbe in futuro attenuare l’incidenza di questa variabile. Nell’attesa, il continente passerà ancora anni, se non decenni, a scrutare nervosamente i cambiamenti del cielo.
In assenza di una transizione verso forme verdi d’energia, il meteo avrà un ruolo ancora più rilevante nell’economia. Un pianeta più caldo sta già provocando eventi più frequenti ed estremi, come le ondate di caldo estive in Europa o le devastanti alluvioni subite dal Pakistan. Questi episodi rappresentano dei cosiddetti shock reali per l’economia: cambiamenti esterni che abbassano la capacità produttiva, provocando un aumento dell’inflazione e della disoccupazione.
Aggravare il declino
Per i banchieri centrali è più difficile affrontare questa duplice minaccia rispetto al declino provocato da un calo della fiducia degli investitori o da una crisi finanziaria. Con una politica monetaria troppo rigida, si rischia di aggravare il declino; con una troppo morbida, l’inflazione potrebbe andare fuori controllo. Secondo un’analisi condotta dal Fondo monetario internazionale sulle isole del Pacifico e dei Caraibi, i paesi vulnerabili ai disastri naturali crescono di un punto percentuale in meno all’anno e hanno un debito più alto rispetto agli altri.
Il cambiamento climatico farà aumentare queste differenze. Con il ritorno a un’economia dipendente dal meteo alcuni banchieri centrali si comporteranno un po’ come i maghi della pioggia, perché cercheranno di mettere in atto gli stessi rituali, cioè chiederanno più sacrifici, senza poter incidere effettivamente sul meteo economico. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati