Ogni anno il numero di animali selvatici diminuisce di circa il 2,5 per cento a causa della perdita di habitat, delle specie invasive, dell’inquinamento, della crisi climatica, della pesca e della caccia eccessiva. Dal 1970 il calo complessivo è stato del 69 per cento. Oggi il bestiame e gli esseri umani rappresentano il 96 per cento dei mammiferi. A partire dal 7 dicembre gli ambientalisti cercheranno di convincere i governi del mondo ad affrontare la crisi in modo adeguato. Come l’emergenza climatica, anche questa è una diretta conseguenza dell’attività umana, ma non suscita la stessa attenzione. La Cop15 di Montréal, in Canada, fa parte del vasto processo lanciato nel 1992 dalle Nazioni Unite, che hanno creato tre convenzioni sul cambiamento climatico, la biodiversità e la desertificazione. Ma finora la battaglia per la biodiversità è stata un fallimento. Dei venti obiettivi fissati all’ultimo vertice, che si è svolto in Giappone nel 2010, nessuno è stato raggiunto in pieno.
Dall’estinzione è impossibile tornare indietro, quindi Montréal è un’opportunità che il pianeta non può permettersi di sprecare. Ma è indispensabile un cambio di paradigma. Per troppo tempo i governi hanno trattato la biodiversità come un problema secondario, concentrandosi sul riscaldamento globale. In realtà le due crisi si sovrappongono. Gli ecosistemi che sostengono la varietà naturale contribuiscono anche a regolare il clima. Le foreste, le barriere coralline e le mangrovie offrono rifugio a un’enorme varietà di specie e al contempo catturano l’anidride carbonica, che altrimenti contribuirebbe all’aumento delle temperature. Lo sfruttamento economico e l’indifferenza ai problemi ambientali stanno distruggendo un equilibrio che protegge anche gli esseri umani. Per uscire da questo circolo vizioso è fondamentale un progetto mondiale per la conservazione.
Questo dovrebbe essere lo scopo della nuova Struttura globale per la biodiversità che sarà discussa a Montréal. Tra gli obiettivi ci sono la protezione del 30 per cento delle terre e dei mari dallo sfruttamento non sostenibile e la lotta ai pesticidi, ai rifiuti di plastica e alle specie invasive. Alle aziende potrebbe essere chiesto di presentare valutazioni dell’impatto sulla biodiversità e piani per la mitigazione. I paesi più ricchi saranno invitati a finanziare la conservazione nel sud del mondo.
Abbiamo davvero bisogno di una svolta. Nel 2015 a Parigi un trattato legalmente vincolante ha impegnato i paesi firmatari ad affrontare la crisi climatica. Servirebbe qualcosa di simile, ma un accordo avrà valore solo se i governi capiranno che è necessario investire nella protezione della biodiversità. Purtroppo nessuno dei leader che hanno partecipato alla conferenza sul clima in Egitto sarà presente a Montréal. Il destino dell’umanità è legato a quello della natura e delle specie che rischiano l’estinzione. Riconoscere questa realtà è diventata una priorità esistenziale. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1490 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati