Il 18 febbraio il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha firmato un decreto che formalizza il controllo dello stato sulla produzione del litio. “Stiamo nazionalizzando il litio”, ha detto, “per evitare che sia sfruttato dalle aziende straniere russe o cinesi. Il petrolio e il litio appartengono alla nazione. Stiamo firmando questo accordo. C’è già una legge approvata in parlamento”. È una svolta storica. Le previsioni basate sulle tendenze attuali indicano che nel medio periodo il litio sarà fondamentale per il settore energetico e dei trasporti, e in tutti i campi dell’elettronica. Potrebbe diventare un elemento primario e indispensabile per l’economia, lo sviluppo e il benessere.

A differenza del petrolio, il litio non è in sé una fonte di energia, ma un metallo che permette d’immagazzinare energia nella forma più efficiente conosciuta finora. È importante per i veicoli elettrici (dove le batterie al litio hanno sostituito il serbatoio di combustibile) e per le nuove tecnologie basate sulle fonti rinnovabili. Il metallo è essenziale per chi vorrebbe realizzare una transizione energetica, eliminando o riducendo in modo significativo il consumo di combustibili fossili e i loro effetti sull’ambiente.

Com’è successo con tutte le risorse strategiche nel corso della storia, anche il litio è oggetto del desiderio delle grandi potenze e degli interessi privati che si celano dietro i governi. La decisione di nazionalizzarlo mette il Messico al riparo dalle pressioni e dalle ingerenze estere. Ma non dobbiamo dimenticare che il paese deve ancora sviluppare le tecnologie per esplorare i giacimenti (presenti soprattutto nel nord), per usare il litio nella produzione di massa e per integrarlo nel settore industriale. Solo così potrà generare posti di lavoro di qualità, sovranità nazionale, sviluppo e benessere. Bisogna agire in fretta. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati