◆ L’epoca delle grandi dighe, costruite per alimentare centrali idroelettriche, sta finendo, scrive Yale Environment 360. Secondo l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), il picco di capacità installata è stato raggiunto nel 2013, con 45mila megawatt all’anno. Poi la capacità si è ridotta, arrivando a poco meno di 19mila megawatt nel 2021. Anche gli investimenti sono diminuiti, passando dai 26 miliardi di dollari del 2017 agli otto miliardi del 2022.
Il declino è avvenuto per vari motivi. Primo, le grandi dighe costringono migliaia di persone a lasciare le loro case, causando forti tensioni sociali. Secondo, alterano il corso dei fiumi, con gravi conseguenze ambientali e sugli ecosistemi. Negli ultimi anni si è aggiunto un fattore economico. Nel 2010 il costo per chilowatt prodotto dalle centrali era più basso di quello del solare e dell’eolico. Nel decennio successivo, però, il costo dell’elettricità prodotta con il solare, l’eolico marino e l’eolico terrestre si è ridotto rispettivamente dell’88, del 60 e del 68 per cento, mentre quello dell’idroelettrico è aumentato del 24 per cento. Inoltre, sempre più spesso gli episodi di siccità legati alla crisi climatica costringono a chiudere gli impianti. L’estate scorsa è successo in Europa, nella provincia cinese del Sichuan e in Africa meridionale.
In futuro le dighe potrebbero continuare ad avere un ruolo in combinazione con gli impianti solari ed eolici, producendo elettricità in assenza dei raggi solari e del vento.
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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati