L’ultimo documento che mostra Evgenij Prigožin in vita è un video pubblicato il 21 agosto da quello che sembra essere il Mali, in cui il signore della guerra, indossando una tuta mimetica e imbracciando un fucile d’assalto, promette di rendere “la Russia ancora più grande in tutti i continenti, e l’Africa ancora più libera”. Quarantotto ore dopo il suo aereo privato è precipitato in circostanze da chiarire in un campo a nordovest di Mosca, provocando la morte di tutte le persone a bordo.
Il controllo di Prigožin sulla milizia privata Wagner era in discussione da quando aveva sfidato l’autorità di Vladimir Putin, ribellandosi contro l’esercito russo alla fine di giugno. Ora la sua morte violenta solleva nuovi dubbi sulla capacità di Mosca di garantire la presenza di mercenari in Africa e in Medio Oriente usando la rete costruita da Prigožin, dicono fonti vicine a queste operazioni.
“L’Africa andrà in malora”, spiega una vecchia conoscenza di Prigožin riferendosi alle attività della Wagner nel continente. “Non volevano permettergli di condurre le operazioni e ora nessuno riuscirà a gestirle, perché solo Zhenya poteva farlo”, spiega la fonte usando il soprannome di Prigožin. “Era l’unico abbastanza pazzo”.
In poco più di cinque anni la Wagner è diventata un elemento cruciale nella strategia russa in Africa. Il gruppo ha portato avanti interferenze nelle elezioni, campagne di disinformazione e attività militari, offrendo nel frattempo al Cremlino la possibilità di negare il proprio coinvolgimento quando qualcosa andava storto. Ovunque c’era da provocare caos o sfruttare sentimenti antioccidentali, Prigožin e la sua banda di soldati in congedo ed ex carcerati erano pronti a fare il lavoro sporco per Mosca.
La Wagner, che inizialmente agiva nell’ombra, ha sostenuto giunte militari, dittatori filorussi e governi fragili dalla Libia al Mali fino alla Repubblica Centrafricana, in cambio di concessioni minerarie e un compenso mensile. Dato che questi paesi avevano tagliato la maggior parte dei legami con l’occidente e a volte con gli alleati africani, non avevano nessun altro a cui rivolgersi. “Per loro la Wagner era l’ultima risorsa”, spiega Cameron Hudson, ex funzionario della Cia che oggi lavora per lo statunitense Center for strategic and international studies. “Ora sono compromessi con la Russia, che si tratti di Putin o di Prigožin. Non possono tornare indietro”.
Affari ridotti
L’ammutinamento di giugno ha messo tutto in discussione, anche se all’inizio Prigožin sembrava essere stato perdonato e reintegrato nel sistema di sicurezza russo, proprio grazie ai suoi forti legami con i leader africani. Aveva incontrato alcuni funzionari africani a margine di un vertice a San Pietroburgo, aveva elogiato i responsabili del colpo di stato di luglio in Niger, e le autorità russe avevano garantito ai clienti della Wagner che i servizi sarebbero continuati senza interruzioni. Ma il ruolo di Prigožin come emissario semiufficiale della Russia nel continente era ormai gravemente compromesso, affermano fonti ben informate.
Dopo la ribellione il capo della Wagner aveva raggiunto un accordo con il Cremlino in base al quale si sarebbe trasferito insieme ai suoi combattenti in Bielorussia, per poi stabilirsi in Africa. Questo gli aveva fatto credere di aver “più o meno sistemato le cose con Putin”, racconta una persona che lo conosceva da tempo.
“La morte di Prigožin è una notizia triste. Lui ha salvato la nostra democrazia e il paese è in lutto. Ma per noi non cambia assolutamente nulla”
Dato che molti mercenari della Wagner erano entrati nell’esercito o erano tornati a casa, a Prigožin era rimasto solo un piccolo contingente che pensava di basare nella Repubblica Centrafricana. “Gli hanno lasciato portare con sé tutte le persone che voleva. Circa mille lo hanno seguito”, continua la fonte. “Stavano ricominciando da capo, e se Prigožin fosse sopravvissuto avrebbe trovato il modo di ripresentarsi da Putin e dirgli: ‘Guarda cosa ho fatto in Africa’”.
Quella in Repubblica Centrafricana è sicuramente la più matura tra le operazioni della Wagner nel continente. Gli uomini di Prigožin hanno garantito la sicurezza del presidente Faustin-Archange Touadéra, addestrato l’esercito e partecipato ai combattimenti contro i gruppi ribelli attivi in varie aree del paese. In cambio le aziende legate al gruppo hanno ottenuto miniere d’oro e diamanti e concessioni per l’esportazione di legname. Secondo un dispaccio diplomatico statunitense, nella miniera di Ndassima la società Midas Resources (legata alla Wagner e colpita dalle sanzioni americane a giugno) gestisce un’attività di estrazione dell’oro che potrebbe fruttare fino a un miliardo di dollari all’anno. Altre società dipendenti dalla Wagner producono birra e vodka nel paese.
Secondo il conoscente di Prigožin, però, le attività in Africa diventeranno meno redditizie: “Parliamo di decine di milioni all’anno al massimo”. Enrica Picco del centro studi Crisis group sostiene che con l’uscita di scena di Prigožin potrebbero emergere nuove figure. “Ci saranno cambiamenti nella catena di comando”, prevede. “Ci vorrà un po’ di tempo e succederà all’interno di una manovra più ampia con cui il ministero della difesa russo prenderà il controllo delle attività della Wagner. Il Cremlino potrebbe anche assorbire le società legate a Prigožin nella Repubblica Centrafricana”.
Un amico del popolo
Quello che succederà poi dipenderà in gran parte dal presidente russo. Dopo la ribellione della Wagner, Mosca aveva lasciato intendere che avrebbe smantellato il gruppo, ma il Cremlino non ha mai presentato un piano d’azione. “La prossima mossa spetta a Putin”, conferma Hudson. “Cosa farà per assumere e consolidare il controllo sulla Wagner?”.
Eppure sembra che un piano si stia lentamente delineando. Secondo alcune fonti, infatti, l’ultimo viaggio di Prigožin in Africa era stato organizzato per impedire al Gru, i servizi d’intelligence esteri dell’esercito russo, di appropriarsi delle sue operazioni.
Nei giorni scorsi una delegazione dell’esercito russo, di cui faceva parte il viceministro della difesa Yunus-Bek Yevkurov, è andata in Libia per incontrare Khalifa Haftar, comandante filorusso dell’Esercito nazionale libico (Eln) che controlla la parte orientale del paese. I mercenari della Wagner combattono al fianco di Haftar fin dal suo fallito tentativo di conquistare Tripoli nel 2019. Sono ancora presenti nel nord della Libia, dove addestrano l’Eln.
Konstantin Malofeev, uomo d’affari russo che prima dell’ammutinamento aveva elogiato Prigožin, ha dichiarato che a causa di un diffuso sentimento antioccidentale “chiunque rappresenti la Russia in Africa troverà una situazione immutata e avrà la piena fiducia dei leader locali. La Russia è considerata molto più affidabile dei colonizzatori occidentali. La morte prematura di Evgenij non cambierà la posizione della Russia in Africa”.
Héritier Doneng, un propagandista filorusso centrafricano che guida il movimento panafricano Fronte repubblicano, ha definito Prigožin “un amico del popolo africano nella sua lotta contro il terrorismo e il vampirismo”. Dopo la sua morte Fidèle Gouandjika, importante consulente del presidente centrafricano Touadéra, ha commentato: “È una notizia triste. Lui ha salvato la democrazia, e il paese è in lutto. Ma per noi non cambia assolutamente nulla. Continueremo ad avere i suoi uomini sul terreno grazie al nostro accordo con il Cremlino”.
Messaggio minaccioso
Il gruppo Wagner è stato accusato di aver commesso numerose violazioni dei diritti umani in Africa, tra cui stupri e massacri di civili. Un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato ad agosto sostiene che nella città di Moura le truppe maliane e i mercenari russi abbiano ucciso fino a 500 persone.
Secondo un ex politico centrafricano Touadéra aveva pensato di limitare l’influenza della milizia, ma aveva cambiato idea quando aveva capito di dipendere dagli uomini di Prigožin. Per esempio Valerij Zacharov, membro della Wagner ed ex agente dei servizi segreti russi, è stato consulente per la sicurezza nazionale di Touadéra fino al 2022.
Un funzionario della Nazioni Unite che ha collaborato con la forza di pace in Mali ritiene che le operazioni della Wagner nel paese continueranno senza variazioni, in parte perché l’Onu non può fornire i servizi richiesti dal governo maliano (come i raid contro i jihadisti, incompatibili con il mandato dei caschi blu). “Era come se ci chiedessero di violare la loro sovranità”, racconta il funzionario.
Eppure, secondo una fonte vicina al ministero della difesa russo, anche se Mosca assumesse il controllo delle operazioni della Wagner è improbabile che riesca a replicare il sistema costruito da Prigožin. “Putin ha altro a cui pensare. Quindi o se ne occuperà l’esercito o andrà tutto in malora. Propendo per la seconda ipotesi”.
Enrica Picco crede che la fine di Prigožin possa offrire un’altra lezione a quelli che hanno scelto di assoldare i suoi mercenari. “Gli africani dovranno fare attenzione a non innervosire il Cremlino”, spiega. “La morte di Prigožin potrebbe essere un messaggio molto minaccioso per i leader del continente”. ◆ as
Gli autori di questo articolo sono Max Seddon, Aanu Adeoye, Andres Schipani e Heba Saleh
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Questo articolo è uscito sul numero 1527 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati