Negli ultimi tempi nel mondo del rap si discute molto della battaglia a colpi di rap tra Kendrick Lamar e Drake, e anche di J. Cole, in parte coinvolto nella vicenda. Ma quello che mi chiedo è: perché non si parla mai di Vince Staples? Il catalogo del rapper di Long Beach, che ama presentarsi come un’anomalia nel panorama dell’hip-hop statunitense, è di tutto rispetto. Staples ha una capacità unica di costruire un immaginario. Dark times, che è il seguito di Ramona park broke my heart, esplora la vita adulta del rapper, circondato dalle trappole del successo. Questo disco compatto ha un messaggio molto chiaro: attenti a quello che desiderate. Brani come Close your eyes and swing sembrano rallentati, mentre altri, tipo , sembrano descrivere sentimenti d’isolamento tra atmosfere di rap old school e suoni rock. Come sempre, la scelta dei beat è fantastica. Quelli del singolo Shame on the devil suonano come tamburi d’acciaio, mentre Liars è un pezzo elettronico astratto presentato senza rap in cima, con solo delle voci registrate accompagnate da pianoforte e archi. Quando Dark times riesce a essere diretto, i risultati sono ancora migliori. Come già successo in Big fish theory del 2017, la musica di Staples rielabora in modo sapiente anche i ritmi della house statunitense e britannica: stavolta succede nel brano Little homies. Naturalmente i fan paragoneranno questo lavoro ai precedenti, ma non è giusto farlo. Ramona park broke my heart era un pezzo di bravura, capace di creare un mondo a sé stante. Dark times è un po’ meno accessibile, ma altrettanto riuscito.
Robin Murray, Clash

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati