Un telescopio del Kitt peak national observatory, in Arizona, ha impiegato tre anni per creare una mappa tridimensionale dei cieli. Esaminando la luce di decine di milioni di galassie, il Dark energy spectroscopic instrument (Desi) potrebbe aver fatto una scoperta sbalorditiva. Come suggerisce il nome, il Desi è uno strumento che analizza la natura dell’energia oscura, un’entità misteriosa che costituisce il 68 per cento di tutto quello che esiste nell’universo e che, in una versione repulsiva della forza di gravità, dilata lo spazio. Pur non sapendo cos’è, gli scienziati hanno ipotizzato che la sua densità sia rimasta uguale dalla nascita dell’universo, 13,7 miliardi di anni fa. I primi risultati del Desi indicano invece che potrebbe non essere così. Il team di ricerca pensa infatti che la densità sia cambiata nel tempo. “È molto strano”, commenta Dragan Huterer dell’università del Michigan. Se i risultati fossero confermati, la cosmologia sarebbe messa in crisi.
Lo studio dell’energia oscura è piuttosto recente. Le prime prove dirette della sua esistenza risalgono al 1998, quando gli scienziati scoprirono che le luminosissime esplosioni stellari note come supernove si allontanavano dalla Terra molto più in fretta di quanto avrebbero dovuto. La loro conclusione fu che non solo l’universo si espandeva, ma l’espansione accelerava. “Nessuno se l’aspettava”, dice Adam Riess della Johns Hopkins university, che per questa scoperta ha ricevuto il Nobel per la fisica nel 2011.
La vera natura dell’energia oscura resta ancora sconosciuta, perché studiarla direttamente è difficile. Secondo l’ipotesi principale si tratta di un’energia intrinseca allo spazio vuoto. In base alla meccanica quantistica, infatti, il vuoto non è privo di materia ma ribolle di infinite coppie di particelle e antiparticelle che spuntano dal nulla per poi annientarsi a vicenda. Queste interazioni producono un’“energia del vuoto” che su scala cosmica è in grado di dilatare lo spazio. L’ipotesi non è esente da problemi – quando i fisici cercano di calcolare la densità dell’energia del vuoto ottengono un valore compreso tra 60 e 120 ordini di grandezza superiori a quello che suggeriscono le osservazioni dirette – una discrepanza nota come catastrofe del vuoto. “È opinione condivisa che per risolverla servirà una nuova intuizione”, dice Huterer.
Finali alternativi
A parte questo, l’energia oscura rappresenta uno dei due pilastri centrali del modello standard della cosmologia, la migliore descrizione scientifica dell’evoluzione dell’universo. L’altro pilastro è la materia oscura, una forma di materia invisibile che costituisce il 27 per cento dell’universo. La materia normale, di cui sono fatte stelle e galassie, è un misero cinque per cento. Secondo il modello standard, dopo che il big bang ha messo in moto l’espansione dell’universo, l’attrazione gravitazionale tra gli atomi ha favorito la formazione di stelle e galassie, frenando la crescita complessiva dell’universo. Con l’aumento dello spazio vuoto, però, è aumentata anche la quantità di energia oscura, che ha poi preso il sopravvento diventando il fattore principale nell’evoluzione del cosmo e stimolando l’espansione accelerata osservata da Riess un quarto di secolo fa.
L’espansione dell’universo dovrebbe durare in eterno, e le galassie saranno così lontane da essere invisibili l’una dall’altra, un destino noto come big freeze. Se invece, come suggerisce il Desi, la densità dell’energia oscura può cambiare, si prospettano altri scenari: un giorno l’energia oscura potrebbe diventare così densa da disintegrare gli atomi e perfino la struttura dello spaziotempo, un’ipotesi chiamata big rip. Se invece la densità diminuisse, la materia e la forza di gravità potrebbero riprendere il sopravvento sull’universo, facendolo collassare in un big bang al contrario, cioè un big crunch. I terrestri non hanno di che preoccuparsi: il Sole inghiottirà i pianeti interni del sistema solare molto prima che questo succeda.
I risultati preliminari del Desi sono stati annunciati ad aprile all’incontro annuale dell’American physical society, subito dopo la pubblicazione su arXiv di una serie di articoli che illustravano i dati del primo dei cinque anni di osservazione. Poiché l’obiettivo era invisibile, lo spettroscopio è dovuto ricorrere a metodi indiretti per cercare i segni dell’energia oscura. Il suo scopo principale è creare la mappa della distribuzione delle galassie nello spazio. Questa mappa contiene le tracce delle onde sonore che hanno attraversato l’universo appena nato. Le tracce sono cresciute man mano che l’universo si è espanso, e analizzando quelle più lontane i cosmologi possono osservare il passato e seguire l’evoluzione dell’energia oscura nell’arco di miliardi di anni.
I risultati del Desi indicano non solo che la densità è cambiata con il tempo. Secondo Huterer è successo qualcosa di ancora più strano: la densità è aumentata fino a circa quattro miliardi di anni fa per poi cominciare a diminuire. Nessuno sa perché.
Se i risultati si rivelassero esatti bisognerà ripensare a cos’è l’energia oscura. “Se cambia con il tempo non è più energia del vuoto”, spiega il cosmologo Bhuvnesh Jain dell’università della Pennsylvania. Esistono già proposte alternative basate su un campo di energia oscura detto quintessenza, che pervade l’intero spazio e può variare con il tempo. Tuttavia per Jain i risultati del Desi suggeriscono qualcosa di più complesso.
Implicano infatti che il modello standard della cosmologia nella sua forma attuale è spacciato. Non sorprende quindi che lo studio stia suscitando sgomento. Ma queste non sono le uniche crepe del modello. Alcuni astronomi hanno osservato che la materia dell’universo vicino si agglomera meno di quanto calcolato dal modello standard, e che l’universo appena nato non era uniforme come previsto.
Per di più negli ultimi anni studi diversi hanno misurato valori diversi della costante di Hubble, la velocità a cui l’universo si espande. Questo implicherebbe che i cosmologi non comprendono appieno né l’espansione dell’universo né il comportamento dell’energia oscura nel passato. Le recenti osservazioni del telescopio spaziale James Webb, raccolte da Wendy Freedman dell’università di Chicago, sembrano invece indicare che quei valori possono quadrare, suggerendo che non c’è niente di strano nel comportamento dell’energia oscura. Ma i risultati non sono ancora stati pubblicati su una rivista scientifica, quindi non tutti sono convinti.
Nuovi strumenti
Per via di questi problemi alcuni cosmologi hanno proposto soluzioni estreme, come adottare concetti di energia oscura meno rigidi o sviluppare un’alternativa al modello standard della cosmologia. Certi arrivano addirittura a suggerire che la teoria della relatività generale di Albert Einstein, su cui poggia il modello, possa aver raggiunto i suoi limiti. “Sappiamo che prima o poi fallirà. È successo a Newton e succederà a Einstein”, osserva Andreu Font-Ribera, cosmologo dell’Institut de fisica d’altes energies di Barcellona e membro del team del Desi. Non vorrebbe dire che Einstein si sbagliava, ma che aveva ragione solo in parte. Come la legge di gravitazione universale di Newton si è rivelata un’approssimazione della relatività generale nelle giuste condizioni (su distanze relativamente piccole e dei bassi campi gravitazionali presenti sulla Terra e intorno), anche la relatività generale potrebbe rivelarsi il caso limite di una teoria più profonda non ancora scoperta.
Per ora il dibattito sulla sostituzione del modello standard della cosmologia, per non parlare della teoria della relatività generale, è alimentato da indizi vaghi e ipotesi. Quando la prossima generazione di telescopi e osservatori comincerà a sfornare dati, però, potrebbe emergere un quadro nuovo e più completo del ruolo dell’energia oscura nell’universo. Dal 2025 anche l’osservatorio Vera Rubin, in Cile, seguirà l’espansione dell’universo nel tempo mappandone l’evoluzione nei miliardi di anni passati. Euclid, il telescopio spaziale dell’Agenzia spaziale europea, sta creando la sua mappa delle galassie e punta anche a seguire l’energia oscura attraverso le misurazioni dell’espansione dell’universo. “La sensazione è che i pezzi del puzzle ci siano quasi tutti”, dice Riess. “Io continuo ad aspettare che una persona geniale li metta insieme”. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1569 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati