La formula è stata proposta dalla sociologa francese Dominique Méda sulle pagine di Le Monde: “Oggi l’Unione europea sembra improvvisamente una presenza familiare, rassicurante e protettrice”. È uno dei grandi paradossi e forse l’unica novità di quest’epoca problematica, che lascia poche speranze: in un mondo in cui dominano i “predatori”, per riprendere l’espressione utilizzata da Giuliano da Empoli nel suo ultimo libro pubblicato in Francia, l’Europa è ormai quasi l’ultimo rifugio dello stato di diritto, del rispetto delle norme internazionali e della decenza.
Nonostante tutti i suoi difetti, di questi tempi l’Unione appare ricca di qualità che altrove stanno scomparendo progressivamente. Ma come conservare queste caratteristiche positive? E soprattutto, come farne un modello adatto a impedire il ritorno dei rapporti di forza e della brutalità verso cui il mondo si dirige a grandi passi?
Lo spettacolo affascinante, desolante e sconvolgente della presidenza di Donald Trump mette in risalto i pregi di un’Europa che troppo spesso ci piace criticare, sottolineando le delusioni che provoca. L’astio del presidente degli Stati Uniti nei confronti dell’Unione è una realtà che abbiamo faticato a recepire, ma che alla fine ha portato una salutare presa di coscienza sul continente.
Certo, ci sono limiti innegabili. In Europa, per esempio, non è possibile avere alcuna unanimità a causa del presidente ungherese Viktor Orbán, che mostra senza sosta il suo apprezzamento per gli autocrati. Inoltre, i partiti politici europei sostenuti da Trump, JD Vance, Elon Musk e dai loro amici sono ormai alle porte del potere e cercano di nascondere l’enorme contraddizione tra il loro patriottismo e loro simpatie per i predatori di Mosca e Washington.
Nonostante io abbia seguito gli affari europei per decenni, fin dai tempi gloriosi di Jacques Delors alla guida della Commissione, raramente ho notato un simile sentimento di urgenza e reazione esistenziale, con la sensazione che l’Unione non possa più permettersi il lusso di sbagliare.
Era ora, verrebbe da dire, perché i ritardi accumulati sul piano tecnologico, sulla difesa comune e sulla capacità di proteggersi dalle aggressioni commerciali o finanziarie indeboliscono il continente in un momento in cui i pericoli si moltiplicano.
Questi ritardi non si possono cancellare con un tratto di penna, ma è consolante notare che i primi passi sono stati incoraggianti. Allo stesso modo, non possiamo fare altro che rallegrarci per il ritorno del Regno Unito, ferito dal disamore di Washington, a una maggiore vicinanza con gli alleati geografici europei.
L’Europa si gioca molto, a cominciare dalla propria sopravvivenza davanti a un’amministrazione statunitense che sogna di smantellare le politiche comuni (in primis la regolamentazione digitale e le politiche commerciali) nella speranza di rendere i singoli stati dei vassalli.
Ma l’Europa deve prepararsi anche per il mondo di domani, perché a questo punto è sicuro che non torneremo mai allo status quo precedente.
Un nuovo ordine mondiale sarà costruito sulle macerie di quello nato nel 1945, dopo la seconda guerra mondiale. In questo senso è importante che l’Unione possa sedersi al tavolo dove saranno prese le decisioni più importanti. Per riuscirci, dovrà sopravvivere al caos attuale, proteggendo le proprie libertà e rinnovando un modello che mostra evidenti segni di logoramento.
Ma Dominique Meda ha ragione: davanti alle minacce crescenti di questo mondo, l’Unione appare “rassicurante”. Ci volevano Donald Trump e i suoi eccessi per farcene accorgere.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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