Per decenni in Europa è stata buona norma mostrare una certa dose di antiamericanismo. Oggi, invece, è arrivato il momento dell’antieuropeismo dell’amministrazione Trump.
Le tensioni transatlantiche non sono una novità. La Francia ha fatto la sua parte, dall’uscita dal comando militare della Nato decisa da Charles de Gaulle nel 1966 alle “freedom fries” dopo il rifiuto di Chirac di partecipare all’invasione dell’Iraq nel 2003. Ma in questo momento la situazione sembra ribaltata.
“Conoscevate l’antiamericanismo? Eccovi l’antieuropeanismo!”, titola il Wall Street Journal. La parola è talmente poco familiare che nessuno sa bene come scriverla.
A memoria d’uomo non si ricorda un’amministrazione così ostile nei confronti dell’Unione europea, agguerrita specificamente contro il progetto europeo più che contro i singoli stati. Donald Trump ha addirittura dichiarato (contro ogni evidenza) che l’Unione è stata creata “per ostacolare gli Stati Uniti”. Una conversazione privata su Signal, rivelata dal direttore dell’Atlantic Jeffrey Goldberg – che era stato inserito nel gruppo per errore – ha evidenziato l’animosità con cui i più alti funzionari del governo americano si scagliano contro l’Europa, già nota ma espressa in questo caso in maniera particolarmente brutale.
A tutto questo possiamo aggiungere le provocazioni a ripetizione contro la Danimarca a proposito della Groenlandia, la guerra commerciale a colpi di dazi doganali e l’impensabile voltafaccia sull’Ucraina. Il risultato è un tono antieuropeo evidente.
Ma quali sono le cause di questa inversione di rotta, che ha colto Bruxelles di sorpresa (anche se già si prevedevano nuove tensioni con il ritorno di Trump)? L’Europa non è abbastanza ingombrante da togliere il sonno ai leader del movimento Make America great again (Maga).
Inoltre la maggior parte degli europei desiderava di restare sotto la protezione statunitense, al punto da voler accettare il “vassallaggio felice” di cui parla il presidente della repubblica italiano Sergio Mattarella, a condizione di non essere disprezzati, insultati e destabilizzati.
La spiegazione di questo conflitto va ricercata piuttosto in uno scontro tra modelli incompatibili.
Il secondo mandato di Trump si presenta sulla scena con un’armatura ideologica che non aveva nella sua prima incarnazione, e una volontà di agire rapidamente e con decisione emersa palesemente negli ultimi due mesi e mezzo (che sembrano già anni). L’Unione europea è stata costruita sul diritto, mentre i Maga rispettano soltanto i rapporti di forza. Il vecchio continente difende un modello economico e sociale che coinvolge pesantemente lo stato, mentre i tecnolibertariani vogliono ridurre al massimo gli interventi del potere pubblico, preso di mira dal Doge di Elon Musk. Il trumpismo, infine, combatte l’ideologia woke, espressione piuttosto vaga, ma che può comprendere alcuni valori europei come l’inclusione. La lettera inviata dall’ambasciata statunitense alle aziende francesi, a cui è stato imposto di rinunciare alla diversità se vogliono continuare a lavorare con Washington, è piuttosto significativa.
L’aggressione generalizzata contro l’Europa, incarnata soprattutto dal vicepresidente JD Vance, ha provocato un sussulto nel vecchio continente. Gli europei capiscono intuitivamente di avere molto da perdere in questo scontro in fase larvale, compresi gli elettori dei partiti che si sono opposti alla costruzione europea.
I sondaggi indicano un sostegno massiccio al progetto comune di difesa, in particolare in Germania, paese più visceralmente legato all’“ombrello statunitense”. Come ha scritto su Le Monde la sociologa Dominique Méda, ai cittadini europei l’Unione appare improvvisamente come “una presenza familiare e rassicurante”.
Ancora non abbiamo le istruzioni per l’uso della resistenza, ma questo ritrovato attaccamento dimostra che l’Europa non si lascerà umiliare. Ed era ora.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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