Con una sentenza sbalorditiva, politicamente schierata e di portata enorme, il 1 luglio la corte suprema degli Stati Uniti ha stabilito che gli ex presidenti sono immuni dai processi per “atti ufficiali”. In questo modo, invece che interpretare le indicazioni di equilibrio contenute nella costituzione, il tribunale ha legittimato una pericolosa erosione della democrazia e dello stato di diritto, conseguenza dell’avvento, a partire dal dopoguerra, di quella che lo storico Arthur Schlesinger ha definito “presidenza imperiale”. Questa pratica fu incarnata da Richard Nixon che pronunciò la frase, precedente a Trump ma del tutto trumpiana, “se un atto è compiuto da un presidente, non è illegale”.

Nonostante i tentativi di limitare il potere del capo dello stato dopo il caso Watergate, una serie di presidenti (soprattutto repubblicani) ha continuato a contrastare quella che considerava una fastidiosa ingerenza del congresso e della magistratura, in particolare su questioni legate alla sicurezza nazionale e alle operazioni militari all’estero. Donald Trump ha portato l’autonomia presidenziale a un livello inedito e, se fosse rieletto, toccherà certamente nuove vette. Nei giorni scorsi è tornato a minacciare i suoi avversari, invocando l’incarcerazione (tra gli altri) di Joe Biden, della vicepresidente Kamala Harris e del suo ex vice Mike Pence. Naturalmente Trump, in caso di vittoria, ordinerà al dipartimento di giustizia di fermare i processi a suo carico. Grazie allo zelo della corte suprema, che ha rinviato ai tribunali minori la definizione di “atto ufficiale”, è improbabile che questi procedimenti arrivino a un verdetto prima delle elezioni. L’ex presidente non avrebbe potuto desiderare una vittoria più netta dalla corte, di cui ha diligentemente nominato i componenti.

La sentenza del 1 luglio avrà un impatto enorme. Nella sua critica feroce del verdetto, la giudice Sonia Sotomayor, con altri due giudici progressisti, ha scritto che “il rapporto tra il presidente e il popolo è stato irrevocabilmente alterato”. La decisione dei giudici conservatori, ha aggiunto, “ridicolizza il principio fondativo della nostra costituzione secondo cui nessuno è al di sopra della legge. Ora il presidente lo è in ogni esercizio delle sue prerogative ufficiali”. Il giudice capo John Roberts ha sminuito i possibili crimini che Trump potrebbe compiere contando sull’impunità. La fiducia di Roberts nella capacità della democrazia di limitare un individuo megalomane e assetato di vendetta come Trump è chiaramente malriposta. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati