Sapevamo che Mohammed bin Salman era pronto a tutto per consolidare il suo potere in Arabia Saudita e nella regione del Golfo, ma non immaginavamo che sarebbe arrivato a ordinare l’eliminazione dei migranti che osano varcare le sue frontiere. Mentre il principe ereditario copre d’oro i calciatori più famosi, sperando di sedurre così i giovani di tutto il mondo, secondo Human rights watch le sue guardie uccidono uomini, donne e bambini che cercano di entrare in Arabia Saudita dallo Yemen. Centinaia se non migliaia di etiopi sarebbero morti.

Secondo l’ong questi “crimini contro l’umanità” si svolgono “al riparo dallo sguardo del resto del mondo”, il che ricorda la guerra nello Yemen avviata più di otto anni fa da Bin Salman contro i ribelli houthi sostenuti dall’Iran. Il conflitto, combattuto con l’appoggio degli Stati Uniti, ha provocato 400mila vittime, tra cui molti bambini morti di sete e di fame. Il tutto al riparo dagli sguardi esterni, com’è avvenuto con l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, torturato e smembrato nell’ambasciata saudita a Istanbul perché Bin Salman non tollerava le sue critiche alla guerra. Il principe si sente al sicuro: siede su una montagna d’oro generata dal petrolio e vede i leader occidentali fare la fila per vendergli aerei militari o centrali nucleari.

La sorte dei migranti è una delle grandi tragedie di questo inizio di ventunesimo secolo. Bisogna denunciare con ancora più forza i responsabili, dalla fortezza Europa che lascia annegare le persone al largo delle sue coste, alla Tunisia che le manda a morire di fame e sete nel deserto, al regno saudita che non esita a sparargli. ◆ gac

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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati