Quando Gustavo Petro, candidato alle elezioni presidenziali colombiane del 29 maggio, decide di andare in una città, gli ospedali della zona entrano in allerta arancione. Significa che i medici devono essere pronti a occuparsi di decine di persone. È una procedura normale per i festival o i concerti, ma è meno frequente nel caso di comizi elettorali, tranne quando si tratta di Petro. Il candidato di sinistra porta in piazza grandi folle di elettori come nessun altro in questa campagna elettorale, e la cosa comporta dei rischi. Quando viaggia, si muove con un’enorme carovana di macchine simile a quella dei presidenti, con auto blindate e spesso un’ambulanza. È sempre circondato da almeno dieci guardie del corpo. Spesso sul palco indossa un giubbotto antiproiettile sotto i vestiti, e la sua scorta osserva con attenzione il pubblico. La tensione in questi eventi pubblici ha un nome: un magnicidio, ossia l’omicidio di una personalità di spicco.
“Quando sei vicino al palco e lo ascolti parlare ti domandi: quando gli spareranno?”, dice una persona che segue Petro nella sua campagna elettorale. “La paura è onnipresente”. A febbraio, quando France 24 ha chiesto a Petro se temesse di essere ucciso durante un comizio, lui ha risposto che “lo spettro della morte ci accompagna. Continua ad apparire come un lampo”. Poi ha aggiunto: “Quando sono in mezzo alla gente o sul palco e la piazza è piena, mi capita di pensare che qualcuno, in qualsiasi momento, potrebbe sparare”.
I colombiani temono che un attentato scateni gravi rivolte, come nel 1948
Atmosfera tesa
Per fortuna non è successo. Ma con l’aumento delle sue possibilità di vittoria, cresce anche il rischio di un attentato contro di lui. Il 2 maggio Petro ha annullato una visita nella regione del caffè perché la sua squadra aveva identificato un piano per ucciderlo, e il governo si è impegnato a rafforzare la sua scorta. Poco tempo fa, quando un sondaggio indicava Petro come vincitore al primo e al secondo turno, il senatore Armando Benedetti, che ha coordinato i suoi eventi pubblici, ha scritto sui social network: “L’unica cosa che può impedire a Petro di diventare presidente è un delitto o un ‘incidente aereo’”.
Benedetti non esclude questa possibilità, come del resto non la scartano molti elettori colombiani nelle loro conversazioni quotidiane. La questione della sicurezza di Gustavo Petro fa parte del dibattito pubblico. E la paura non è infondata, per diversi motivi: le minacce contro il candidato sono vere e la storia delle uccisioni di figure di spicco in Colombia è molto lunga.
Dall’inizio di marzo Petro e altri dirigeenti del suo movimento, Pacto histórico, hanno ricevuto almeno quattro avvertimenti da un’organizzazione armata che si fa chiamare Águilas negras. “Sono minacce collettive contro almeno trenta persone per il loro sostegno a Pacto histórico”, spiega Diego Rubiano, ricercatore della missione di osservazione elettorale in Colombia (Moe). All’inizio di aprile Francia Márquez, che potrebbe essere vicepresidente in caso di vittoria di Petro, ha condiviso uno di questi avvertimenti sui social network. Aprile non sarà un mese di festeggiamenti per il movimento, ma “sarà la morte”, diceva il messaggio.
“L’atmosfera si sta facendo sempre più tesa, come quando lampi e tuoni annunciano un temporale”, afferma Cecilia Orozco, direttrice del telegiornale indipendente Noticias uno. “Ci sono funzionari pubblici, politici, uomini e donne coinvolti nella campagna elettorale di destra (in alcuni casi anche di sinistra) che stanno facendo salire la tensione. Non sto dicendo che qualcuno stia ordinando di uccidere qualcun altro, ma che certe persone mandano un messaggio a chi sarebbe capace di uccidere. Per esempio, se un senatore o una senatrice parla con aggressività di un candidato, pronunciando frasi come ‘vi porterà via la casa e la pensione, e poi quell’uomo è stato un guerrigliero e ha ucciso delle persone’, anche se dice il falso di fatto autorizza certe bande o gruppi criminali a impedire con ogni mezzo a quel candidato di vincere”.
Petro, per chiarezza, è accusato di tutto questo dai suoi nemici.
Di recente Orozco, che è stata a sua volta minacciata per il suo lavoro, ha subìto un atto d’intimidazione: mentre era in auto un carro funebre l’ha seguita per ore. Il conducente del veicolo, a cui poi sono state chieste spiegazioni, ha detto di aver ricevuto l’ordine di seguire la macchina perché dovevano andare a prendere un cadavere. Da otto anni Orozco deve muoversi con la scorta. Ha paura che Petro possa essere ucciso e, data l’atmosfera sempre più tesa, crede che possa esserci un attentato contro un ministro o un giornalista. “Stiamo giocando con il fuoco”, dice Orozco.
La paura è tanta non solo per le attuali condizioni di sicurezza ma anche perché il paese ha una storia segnata dalle tragedie. “In Colombia le minacce spesso sono messe in pratica”, dice María Elvira Samper, un’altra nota giornalista. “Questa paura ha una data di nascita precisa: il 9 aprile 1948”.
Idee più forti
Quel giorno di più di settant’anni fa “fu ucciso il candidato che faceva appello alle emozioni della gente, che parlava del paese reale contro i poteri costituiti”, dice Samper. In una strada del centro di Bogotá un uomo sparò al leader liberale Jorge Eliécer Gaitán, un politico che come Petro riusciva a riempire le piazze con promesse di cambiamento e che era molto temuto dalla classe dirigente. La morte di Gaitán scatenò il cosiddetto bogotazo, enormi rivolte nella capitale che provocarono centinaia di vittime.
“Ci siamo anestetizzati, gli omicidi non ci fanno più effetto”, dice Samper. “Ma oggi abbiamo di nuovo paura di un attentato. In queste settimane ho sentito ripetere spesso la frase ‘speriamo che non uccidano Petro, altrimenti sarà una tragedia’”. I colombiani temono non solo che qualcuno spari a Petro, ma anche che un attentato scateni gravi rivolte, come nel 1948.
◆ Il 29 maggio 2022 quasi 39 milioni di colombiani saranno chiamati a scegliere il presidente che guiderà il paese fino al 2026. Un eventuale secondo turno si terrà il 19 giugno. Secondo i sondaggi, il favorito è il candidato di sinistra Gustavo Petro, senatore ed ex sindaco di Bogotá. Per la destra si presenta Federico Gutiérrez, noto come Fico, ex sindaco di Medellín dal 2016 al 2019. Sergio Fajardo è il candidato di centro. Cnn
Negli anni ottanta furono uccisi diversi politici, di destra e di sinistra, tra cui molti candidati alle elezioni presidenziali del 1990. Si opponevano apertamente al cartello di Medellín di Pablo Escobar o alle alleanze tra gruppi paramilitari e gruppi di sicurezza dello stato.
La prima vittima fu Jaime Pardo Leal, avvocato e candidato del partito di sinistra Unión patriótica, ucciso nell’ottobre del 1987 su una strada che portava a Bogotá. Dopo l’omicidio di Leal, si candidò al suo posto il senatore Bernardo Jaramillo, sempre per l’Unión patriótica. Fu ucciso anche lui, nel marzo del 1990 in un aeroporto di Bogotá. Di recente il tribunale speciale per la pace ha stabilito che tra il 1984 e il 2016 militari e paramilitari uccisero almeno 5.733 militanti di quel movimento politico.
Nel 1989 fu ucciso Luis Carlos Galán, il carismatico leader del Partito liberale che aveva affrontato coraggiosamente Escobar. “Gli esseri umani si possono uccidere, le idee no”, diceva Galán. “Anzi: a volte quando si uccidono gli esseri umani, le idee diventano più forti”.
A un mese e mezzo dalle elezioni presidenziali, nell’aprile del 1990, fu assassinato Carlos Pizarro, leader del M-19, un’organizzazione guerrigliera di cui faceva parte anche Gustavo Petro e che aveva rinunciato alla lotta armata poco prima delle elezioni. Quell’anno alcuni ex guerriglieri come Pizarro si erano candidati con il movimento Alianza democrática M-19. Mentre erano a bordo di un aereo che volava da Bogotá a Barranquilla, un uomo sparò a Pizarro con un mitra.
In seguito in Colombia ci sono state sette elezioni presidenziali senza attentati ai candidati. Ma furono uccisi, prima e dopo il 1990, un importante leader del partito conservatore (Álvaro Gómez Hurtado nel 1995), un ministro della giustizia (Rodrigo Lara Bonilla nel 1984) e anche un comico molto amato che lottava per una fine negoziata della guerra civile (Jaime Garzón, nel 1999).
Anche se Pablo Escobar è morto e negli ultimi anni vari gruppi paramilitari e guerriglieri hanno deposto le armi, la Colombia non ha ancora chiuso del tutto la sua storia di violenza. E quindi non ha mai smesso di avere paura. ◆ fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1460 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati