Il sostentamento di molti canadesi e messicani oggi si trova nella più assoluta precarietà, in base ai capricci del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Proprio come piace a lui. Per ora c’è una tregua. Una pausa di trenta giorni ottenuta grazie a un accordo per un’azione più decisa contro il contrabbando di fentanyl, non tanto diversa da quello che il governo canadese va offrendo da un mese a questa parte. L’angoscia è parte della contrattazione.

È un sospiro di sollievo, no? I dazi al 25 per cento che Trump minacciava d’imporre sulle merci canadesi e messicane non entreranno in vigore prima di marzo. I posti di lavoro sono salvi, per ora. L’economia non sta affondando, oggi. Non sappiamo se Trump stia davvero tornando sui suoi passi per le fibrillazioni dei mercati e le lamentele dei governatori degli Stati Uniti o se invece speri semplicemente di ottenere di più tenendo sospesa ancora per un po’ la spada sul collo dei suoi vicini. Quello che sappiamo per certo è che Trump si è deliberatamente dato alla politica del rischio calcolato, minacciando danni economici, presentando richieste molto vaghe, rifiutandosi di discutere i dettagli e arrivando a negarsi al primo ministro Justin Trudeau fino all’ultimo giorno. Tutto questo porta a credere che a Trump piaccia proprio farlo. Di sicuro lo rifarà ancora. Se non sarà a marzo magari ad aprile o a maggio, o un po’ più in là. Non è solo tattica. È il suo modo di essere.

I canadesi che il 3 febbraio si sono svegliati pronti a uno shock economico hanno saputo subito dopo che Trump aveva sospeso i dazi nei confronti del Messico dopo che la presidente Claudia Sheinbaum aveva accettato di mandare diecimila militari al confine con gli Stati Uniti. Perciò, mentre il primo ministro della provincia canadese di Terranova, Andrew Frey, andava in un negozio di liquori per dire, come molti altri suoi colleghi, che avrebbe tirato giù dagli scaffali gli alcolici statunitensi, e il primo ministro della Columbia Britannica David Eby indossava un elmetto per ricordare agli Stati Uniti quanto hanno bisogno delle risorse provenienti dalla sua provincia, entrambi di sicuro si stavano chiedendo se anche il Canada avrebbe ricevuto lo stesso trattamento di favore riservato al Messico. Non hanno dovuto aspettare troppo. Trump ha concluso la sua telefonata con Trudeau alle tre del pomeriggio per poi partecipare a un evento fotografico con la squadra di hockey su ghiaccio dei Florida Panthers. Quando un giornalista gli ha chiesto se sarebbe andato fino in fondo con i dazi, lui ha risposto: “Aspetta e vedrai”. Si stava divertendo.

L’“accordo” a cui Trudeau ha detto di sì il pomeriggio del 3 febbraio era praticamente lo stesso pacchetto del valore di 1,3 miliardi di dollari in elicotteri, droni, scanner e polizia di confine proposto dal suo governo una settimana prima. Con qualche aggiunta: la nomina di uno zar contro il fentanyl, l’inserimento dei cartelli messicani del narcotraffico nella lista delle organizzazioni terroristiche e la partecipazione a una forza d’assalto congiunta, ossia una squadra congiunta con un nome più accattivante.

Vago quanto basta

Trudeau ha postato una dichiarazione spiegando che i dazi sarebbero stati sospesi per trenta giorni “mentre lavoriamo insieme”. Il governo canadese indicava l’intenzione di negoziare ulteriori azioni sul confine, ma – udite udite – un post di Trump sul social network Truth diceva altre cose: il presidente sottolineava che la pausa di trenta giorni era finalizzata a capire “se è possibile strutturare un accordo economico definitivo con il Canada”. Vago quanto basta per poter significare qualsiasi cosa.

Dalla Cina

◆ Il 4 febbraio 2025 la Cina ha risposto alla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di imporre dazi del 10 per cento su tutti i beni provenienti dal paese asiatico. Pechino ha dichiarato che la decisione della Casa Bianca viola le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio e ha deciso che dal 10 febbraio entreranno in vigore dazi del 15 per cento sul carbone e sul gas naturale importati dagli Stati Uniti e una tariffa doganale del 10 per cento sulle apparecchiature agricole, i veicoli ad alte emissioni e i pickup. Le importazioni colpite dai dazi di Pechino valgono venti miliardi di dollari, mentre quelle soggette alle tariffe della Casa Bianca arrivano a 450 miliardi. Allo stesso tempo il governo cinese ha annunciato delle limitazioni all’esportazione di droni e di alcuni minerali indispensabili all’industria, come tungsteno, tellurio, bismuto, molibdeno e indio, e ha aperto un’indagine antitrust sul colosso tecnologico statunitense Google. Pechino, inoltre, ha inserito nella sua lista di “aziende inaffidabili” l’azienda di abbigliamento Pvh, proprietaria del marchio Calvin Klein, e quella di biotecnologie Illumina. Intanto il 5 febbraio la banca centrale cinese ha deciso di non svalutare lo yuan nei confronti del dollaro statunitense. Secondo gli analisti è un segnale che per il momento Pechino non vuole ricorrere all’indebolimento della sua valuta per compensare i dazi di Washington. Souh China Morning Post


Più o meno come lo sono state finora tutte le ragioni accampate da Trump per giustificare i dazi: chiedendo al Canada e al Messico di fare di più contro la crisi del fentanyl; oppure dichiarando, mentendo, che gli Stati Uniti sovvenzioneranno il Canada per centinaia di miliardi di dollari; o, ancora, lamentandosi di un presunto deficit commerciale statunitense nei confronti del vicino.

La dichiarazione a telecamere spente sui dazi fatta circolare il 1 febbraio dalla Casa Bianca metteva l’accento sull’idea che le tariffe sarebbero state un bene per l’economia statunitense e avrebbero riportato le fabbriche nel paese. Il 3 febbraio Kevin Hassett, direttore del National economic council di Trump, ha ribadito che i dazi non erano dovuti a una guerra commerciale, ma a una guerra contro la droga. Forse, e dico forse, la Casa Bianca stava cercando di tornare sui suoi passi riguardo alla retorica della guerra commerciale. Trump però quello stesso giorno ha dichiarato con una certa serietà che il Canada avrebbe potuto evitare i dazi se fosse diventato il cinquantunesimo stato degli Stati Uniti.

Siamo davanti a un bersaglio mobile. Lo è sempre stato. Trump ama minacciare e tenere tutti sulle spine. È fatto così. Continuerà a farlo. Come si comporterà il Canada la prossima volta? ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1600 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati