Nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) la violenza dei combattimenti e le sofferenze inflitte ai civili hanno raggiunto livelli sconvolgenti. Il fronte degli scontri si allunga dalla provincia settentrionale dell’Ituri fino al Sud Kivu. L’entrata in scena di nuovi attori riporta alla mente le due “grandi guerre” che hanno sconvolto la Rdc all’inizio degli anni duemila. Il Ruanda, intanto, continua a respingere le accuse degli esperti delle Nazioni Unite, secondo cui il suo governo finanzia i ribelli del movimento M23, in gran parte tutsi congolesi.

Dopo le elezioni nell’Rdc, vinte da Félix Tshisekedi grazie a una campagna elettorale nazionalista, nell’opinione pubblica emerge un nuovo radicalismo: le sofferenze degli abitanti dell’est e il silenzio che le circonda sono denunciate da artisti, musicisti, studenti pronti a imbracciare le armi, calciatori. I paesi occidentali sono accusati di usare due pesi e due misure, perché prestano molta attenzione alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente ma ignorano da venticinque anni le violenze nell’Rdc. A Kinshasa di recente ci sono state proteste verso gli Stati Uniti (accusati di sostenere il Ruanda) e l’Europa.

L’Rdc è un tassello essenziale negli equilibri del pianeta, che si parli di crisi climatica, di accesso ai minerali strategici o del potenziale agricolo. Mentre la guerra infuria, la popolazione si sente dimenticata e disprezzata. Il Belgio, l’ex potenza coloniale in Rdc e Ruanda, e presidente di turno dell’Unione europea, è chiamato in causa ancora una volta. Nessuno può cancellare il passato: le tensioni tra ruandesi e congolesi hanno un forte legame con la storia, e le sofferenze di questi popoli hanno radici profonde. Per allontanare lo spettro di una guerra regionale serve uno sforzo diplomatico che coinvolga tutti i paesi interessati. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1551 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati