La psicogeografia invita a riconsiderare il proprio rapporto con la città in cui si vive. Si basa su un principio preciso: andare alla deriva. E andare alla deriva implica esplorare a piedi uno spazio (fisico o mentale).Vuol dire lasciarsi portare dalla corrente, prendere decisioni senza pensarci, fare connessioni libere e, forse l’aspetto più importante, stupirsi di fronte a ciò che si trova durante il percorso. In base alla mia esperienza, ho capito che questo tipo di esercizio è più fruttuoso se si fa in luoghi che si conoscono bene, perché permette di osservarli con occhi nuovi. Nelle righe che seguono vi propongo un esercizio di esplorazione. Il punto di partenza (e di arrivo) sarà piazza Unirii (piazza dell’Unione, nel centro di Bucarest).
Ma prima un chiarimento: di solito non lavoro con le immagini, cioè con rappresentazioni che coinvolgono percezione, memoria, cultura e storia. Un’immagine non è mai isolata, è sempre parte di un significato più ampio e per comprenderla bisogna ricorrere a un’ampia gamma di leve interpretative. Sarà così anche per questa esplorazione. Mentre cammino, cerco di capire cosa si nasconde dietro il tessuto urbano. E per questo ho la tendenza a perdermi in dettagli e a infilarmi in situazioni assurde. In fondo andare alla deriva non è essenzialmente questo? Ma cominciamo dall’inizio.
Io sono di Costanza, sul mar Nero, e sono arrivato a Bucarest per la prima volta nel 2001. Avevo nove anni e di quel viaggio porto con me solo una manciata d’immagini confuse. Ricordo che la città mi sconvolse, una reazione abbastanza normale. Ho provato la stessa sensazione anche anni dopo, quando mi sono iscritto all’università e mi sono trasferito in città. Prima di allora per me Bucarest esisteva solo come luogo immaginario, fatto di frammenti diversi.
Ne avevo sentito parlare nei notiziari, nelle pubblicità, dai parenti, nei libri, dagli amici, su internet. Bucarest era per me, come per tanti altri, prima di tutto uno spazio mentale. È per questo che anche oggi, dopo averci vissuto per anni, la vedo ancora sotto questa luce. Quando vado a passeggiare riemergono immagini e ricordi, e sperimento il trauma d’imbattermi in luoghi che credevo di conoscere ma che in realtà non avevo mai visto. Tutte queste cose si confondono nella mia testa. A volte sembrano avere senso, altre creano solo un caos, che cerco in qualche modo di organizzare.
La pubblicità
Cominciamo dal centro dell’incrocio di piazza Unirii. Per me questo è il punto centrale della città. Per altri invece può essere piazza Universității (piazza dell’Università) o il monumento Kilometrul zero (Chilometro zero), davanti alla chiesa di san Giorgio, da dove si misurano le distanze con le altre località del paese.
Piazza Unirii è attraversata da un flusso incessante di persone: la maggior parte si sposta dalla stazione del tram di viale Rahovei verso gli ingressi della metropolitana, altre vanno verso il centro storico o nella direzione opposta. Il parco nel centro della piazza è spesso usato come scorciatoia. Intorno sorgono i palazzi costruiti alla fine degli anni ottanta per i dirigenti più importanti della nomenclatura del Partito comunista. Palazzi con facciate e tetti ricoperti da enormi cartelloni pubblicitari.
Al piano strada si trovano filiali di banche, farmacie, forni che vendono covrigi (le tipiche ciambelle salate romene), supermercati e uffici di cambio. Ma le attività più interessanti sono senza dubbio i negozi di vestiti, abiti da sposa, scarpe e accessori di pelle che sembrano essere lì dalla notte dei tempi. Non ho mai visto nessuno entrarci. Non capisco come facciano a resistere.
La grande fontana al centro della piazza mi fa sempre pensare alla Buckingham fountain di Chigaco, inaugurata nel 1927, immortalata nei titoli di testa della sitcom Sposati… con figli. Una connessione che mi mette quasi a disagio.
Ogni volta che vedo la fontana è come se mi preparassi a qualcosa d’inappropriato. È una specie di reazione pavloviana: mi sento come se stesse cominciando il telefilm (che da bambino non potevo vedere perché c’erano battute “sporche”) e io mi trovassi di fronte a qualcosa di proibito, d’inadeguato. Lo stesso succede con Bucarest nella sua interezza. Come ogni città grande e caotica è una specie di frullatore, cosa che qui si avverte con particolare chiarezza. In lontananza, su uno degli isolati verso sud, si vede la pubblicità della Pepsi: una grande lattina rotante in cima a un palazzo. Credo sia stata la prima cosa che ho visto quando sono arrivato in città. In qualche modo può essere considerata un monumento a un particolare momento storico.
Negli anni sessanta la Pepsi fu la prima bibita statunitense a essere distribuita nei paesi dell’Europa dell’est. Mio nonno lavorò a lungo alla fabbrica Munca nella cittadina di Ovidiu, dove arrivava un concentrato di cola a cui andava aggiunta solo dell’acqua frizzante. La pubblicità con la grande lattina rotante simboleggia la continuità tra la Romania prima e dopo il 1989, e conferma lo status del paese come mercato per i beni occidentali.
Ogni volta che passo per la piazza mi viene in mente l’idea di vuoto, per l’assenza di edifici, per le cavità sotterranee e per i negozi vuoti
Altrettanto importante è l’attraversamento pedonale tra i viali Brătianu e Coposu, che potrebbe a sua volta essere considerato un luogo di importanza storica, perché qui è stato girato il video del cosiddetto cittadino francese, molto famoso in Romania, che ha segnato la nascita e l’inizio della diffusione di una cultura digitale autoctona. Un classico dell’umorismo involontario. A un anziano romeno viene chiesto perché la piazza in cui si trova – appunto piazza Unirii – porti questo nome, e lui comincia a rispondere in un francese improvvisato, balbettando frasi strane, ma anche affascinanti per la loro ambiguità culturale. Da una parte sembra che l’anziano voglia stupire gli ascoltatori con l’uso del francese, la lingua feticcio per molti intellettuali romeni, dall’altra il suo gesto si trasforma subito in un’azione pagliaccesca. Il video del “cittadino francese” è ancora amato dai romeni. Dalla sua prima apparizione online, nel 2007, è stato parodiato, commentato e remixato centinaia di volte: Tik-Tok è piena di clip sul tema.
Accanto a quest’incrocio è stato collocato di recente uno strano monumento: una testa in pietra del re Decebalo. Forse è il tentativo di riparare simbolicamente a un’ingiustizia. Come abbiamo imparato dai libri di storia, la testa e le mani del re dei daci, morto dopo una sconfitta, furono mandate come omaggio a Traiano a Roma nel 106 dC. Ma allora non sarebbe il caso di fare un monumento anche alle sue mani?
Comunque, dipendesse da me, trasformerei la testa di Decebalo in un omaggio alla singolare e spesso morbosa fascinazione dei romeni verso il glorioso popolo daco (di cui si considerano i discendenti): un fenomeno nato alla metà dell’ottocento, coltivato negli anni del regime comunista e tornato prepotentemente alla ribalta negli anni novanta. Questa “dacopatia” fa parte della cultura di massa dei romeni e si manifesta spesso sui social network.
Misteri tellurici
Continuando a passeggiare ci si accorge, grazie a una croce datata 1999, che la cattedrale della Salvezza del popolo avrebbe dovuto essere costruita proprio in mezzo al parco. Alla fine piazza Unirii è rimasta senza la sua chiesa perché uno studio di fattibilità ha dimostrato che un edificio costruito lì sarebbe sicuramente sprofondato. La piazza non può ospitare le fondamenta di una struttura di grandi dimensioni a causa dei tanti tunnel sotterranei: due linee della metro, con i relativi passaggi pedonali, il sottopasso Victoria per le auto, il canale sotterraneo in cui scorre il fiume Dâmbovița, oltre ai recenti collegamenti costruiti per permettere il funzionamento delle fontane della piazza.
L’attenzione a questi misteri tellurici non è del tutto incomprensibile. Perfino io, che passo da queste parti piuttosto spesso, ho notato delle cose inspiegabili. A volte, quando il livello del Dâmbovița è particolarmente basso, appena prima che il fiume scompaia nei canali sotterranei accanto all’albergo Hanul lui Manuc, il vecchio caravanserraglio, nel suo letto s’intravedono i contorni di un grande quadrato di cemento. Nei periodi di secca, il monolite grigio esce in superficie. Se si passa di notte e si avvicina l’orecchio al terreno, si può sentire un sinistro mormorio di voci che sembrano ripetere una frase in ostrogoto.
Per rimanere in questo spirito, possiamo voltare lo sguardo verso est, dove si vede quello che rimane del vecchio Magazinul Unirea, uno dei principali grandi magazzini di Bucarest che, dopo un periodo di relativa prosperità tra gli anni novanta e i primi duemila, è stato surclassato dai nuovi centri commerciali sul modello di quelli statunitensi.
Oggi la struttura è in uno stato di semiabbandono. Dal piano strada sembra quasi tutto in ordine, ma appena si sale si entra in uno spazio liminale. Riflettendo su come le rovine medievali nell’ottocento alimentarono la nostalgia dei poeti romantici, un commentatore culturale si è chiesto su YouTube che tipo di creazioni ispireranno i resti di questi vecchi negozi. Chi avrebbe mai pensato che il Magazinul Unirea potesse diventare oggetto di simili disquisizioni? Personalmente credo che queste strutture non sopravvivranno abbastanza a lungo per essere d’ispirazione nei secoli futuri.
Di fronte all’Unirea, tuttavia, c’è un edificio che sembra costruito per durare nel tempo. Il palazzo del parlamento, o Casa del popolo, attira gli sguardi di chiunque passi lì. Anche se non fa parte di piazza Unirii, ne domina comunque la visuale. Solo percorrendo la breve distanza che lo separa da piazza Constituției (piazza della Costituzione) ci si rende conto dell’immensità dell’edificio. Decorazioni neoclassiche, colonne e frontoni sembrano applicati al palazzo quasi a volerlo un po’ ingentilire. Ma nei suoi volumi grandiosi l’edificio rimane una ziggurat (le strutture religiose diffuse in Mesopotamia) gigantesca e misteriosa. È apparso nei film, è stato oggetto di documentari e ha innescato innumerevoli polemiche, soprattutto in merito alla sua utilità. Il fatto che sia la seconda struttura amministrativa più grande del mondo, in sé non dice granché. Solo dopo aver percorso l’intero perimetro s’intuisce la mole. Enorme e immutabile, visto il suo status di bene protetto.
Il pezzo di gesso
Forse è questo l’aspetto che voleva sottolineare l’artista Mircea Nicolae, quando, nel 2008, ha staccato uno degli ornamenti di gesso dal muro di cinta del lato meridionale e l’ha spedito per posta in Kirghizistan, a una mostra intitolata Utopia of space (Utopia dello spazio). Il fatto che, finita la mostra il museo nazionale di arte del Kirghizistan, che ha sede a Bishkek, gliel’abbia rispedito mi sembra stupefacente. Anche se ho visto più volte il video in cui l’artista illustra la performance, non sono mai riuscito a ritrovare l’ornamento che aveva viaggiato per più di ottomila chilometri.
Probabilmente, dopo essere stato rimesso al suo posto, è stato staccato di nuovo da qualcuno (e forse oggi blocca una porta in qualche appartamento in città) oppure è semplicemente caduto e qualcuno che passava l’ha buttato via. Ci penso ogni volta che osservo il perimetro del palazzo, camminando o semplicemente guardandolo. E la cosa strana è che pur sapendo che quel pezzo di gesso non c’è più, continuo comunque a cercarlo.
Ogni volta che passo per piazza Unirii penso al concetto di vuoto, che qui è espresso in diversi modi: l’assenza di edifici, le cavità sotterranee, i negozi vuoti o gli ingressi vuoti dei palazzi, la mancanza dell’ornamento di gesso sul muro di cinta, le lacune storiche o anche la mia incapacità di capire (simile a quella che si prova davanti al video del cittadino francese).
Ma in qualche modo, e a dispetto della mia tripofobia (la paura dei buchi), piazza Unirii rimane l’unico luogo dove tutte queste assenze, considerate insieme, acquistano un senso, in modo forse inspiegabile. O almeno così pare a me. ◆ mt
Cristian Dragan è un regista e documentarista romeno.
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Questo articolo è uscito sul numero 1547 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati