Il frate e mistico padre Pio, uno dei santi italiani del novecento, interpretato da Shia LaBoeuf, presta il suo nome a questa ricostruzione drammatica, appassionata ma faticosa, di Abel Ferrara. La storia di padre Pio è stranamente quasi messa da parte in un film che prova a bilanciare la sofferenza dell’estasi spirituale con gli eventi che accompagnarono le prime elezioni alla fine della prima guerra mondiale in una provincia italiana. Il film risulta così composto di due filoni narrativi a malapena collegati che finiscono per indebolirsi a vicenda. Ferrara trae ispirazione dalla tradizione neorealista italiana. Ma qualsiasi autenticità è minata dalla scelta di girare il film in inglese e dai dialoghi che risultano fasulli.
Wendy Ide, The Observer
Italia / Germania 2022, 104’. In sala
Francia 2023, 101’. In sala
La donna è il futuro delle banlieue. Questo sembra suggerire il secondo film di Ladj Ly (premio della giuria a Cannes 2019 con Les misérables), che nelle periferie ci è cresciuto. L’incarnazione di questa premessa è Haby (Anta Diaw), una giovane di origini maliane, militante per il diritto alla casa. Generosa, combattiva e non violenta – al contrario del suo amico Blaz (Aristote Luyindula), spinto dalla disperazione su una strada estrema – Haby fa sua la causa degli abitanti di un edificio insalubre, colpito da un incendio che il nuovo sindaco (Alexis Manenti) – una via di mezzo tra Jordan Bardella e Jean-François Copé – usa come pretesto per far sgomberare lo stabile. La politica della terra bruciata adottata dal sindaco è fin troppo esplicita. Peggio ancora, il suo vice nero (Steve Tientcheu), difende senza convinzione questo massacro abitativo. Anche se l’epilogo sembra esageratamente drammatico, Ladj Ly filma, senza manicheismo, la sofferenza degli sfollati e la ferocia delle speculazioni.
Jérôme Garcin, Le Nouvel Obs
Cina 2024, 94’. In sala
Un giovane capo della squadra omicidi, indaga su tre uccisioni avvenute in una piccola città cinese. L’inchiesta, la raccolta di prove e gli interrogatori lo aiutano ad allungare le indagini nonostante le autorità vogliano la questione risolta in modo discreto nel più breve tempo possibile. È chiaro che la suspense della storia è un pretesto per descrivere una società in grande cambiamento e al tempo stesso il percorso personale del protagonista. Il realismo e la precisione dell’affresco di un mondo relegato ai margini sono esaltati dall’esigenza di una ricerca che va oltre il limite dell’inchiesta poliziesca. Il terzo lungometraggio di Wei Shujun è un film di pioggia, di notte, di solitudine e d’angoscia. Sensazioni accresciute dalla scelta del regista di girare su pellicola e non in digitale.
Jean-François Rauger, Le Monde
Regno Unito 2023, 84’. In sala
Georgie (Lola Campbell), la protagonista chiacchierona dell’esordio di Charlotte Regan, è una bambina che può sconcertare gli adulti. È carina, ma ha la parlantina consapevole di un venditore d’auto usate. Ruba biciclette con l’amico Ali (Alin Uzun) ed è riuscita a convincere i servizi sociali di essere sotto la tutela di uno zio molto impegnato. In realtà dalla morte della madre Georgie è sola ma, è convinta, non ha bisogno di nessuno. All’improvviso riappare il padre, Jason (Harris Dickinson, visto in Triangle of sadness e A murder at the end of the world), tornato da Ibiza dove lavora come pr in alcuni locali. Non si sono mai visti prima e lui sicuramente non è pronto a fare il genitore. Eppure i due condividono un attaccamento patologico alla propria indipendenza. La regista, insieme alla direttrice della fotografia Molly Manning Walker (How to have sex), ha scelto un modo empatico per rappresentare una famiglia fratturata. Scrapper è un sistema solare con Georgie al suo centro luminoso. Dickinson è avvolto in un velo di tristezza, ma è pronto a strapparselo di dosso. In ogni caso personaggi così simpatici, al cinema, non s’incontrano molto di frequente.
Clarisse Loughrey, The Independent
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