Quelli che restano è un romanzo abitato da uomini “che se ne stanno per conto loro” e che più o meno sono contenti così. Ci sono anzitutto i due uomini del titolo (in originale De kapperszoon, Il figlio del parrucchiere). Il primo, Cornelius, è scomparso e l’altro, Simon, ha un negozio di parrucchiere dove ormai espone quasi sempre il cartello “chiuso”. Ha un nonno, anche lui parrucchiere, e una mamma che gli ricordano una mancanza: quella di suo padre. Pochi mesi prima che Simon nascesse era salito su un aereo per Tenerife: era il 1977 e quel volo sarebbe diventato il peggior incidente aereo della storia. Un giorno uno dei suoi clienti gli dice di essere uno scrittore e gli chiede di osservarlo mentre lavora, perché sta scrivendo un romanzo con un barbiere come protagonista e lui vorrebbe usare le parola giuste. “Ma io non parlo quasi mai”, dice Simon. Lo scrittore comincia comunque a fargli domande. Simon non è un solitario o un misantropo: sembra semplicemente una persona distaccata. Come in Swimming pool, il film di François Ozon in cui una scrittrice di polizieschi in cerca d’ispirazione si ritrova dentro al suo stesso giallo, ci si chiede fino a che punto Quelli che restano si apra a una sorta di realtà parallela. Lo scrittore a un certo punto prende il sopravvento e sorprende i personaggi infilandoli nella sua storia. Potrebbe sembrare una cosa complicata ma il romanzo non ha nulla di forzato, anzi le sue pagine sembrano sempre pervase da qualcosa di magico. Marja Pruis, De Groene Amsterdammer
Autore di diversi libri tradotti in varie lingue, Andrés Montero (nato a Santiago del Cile nel 1990) con il suo terzo romanzo, L’anno in cui parlammo con il mare, si conferma una delle voci più valide della narrativa cilena contemporanea. Il romanzo racconta la storia di Jerónimo Garcés, un giornalista vissuto sempre all’estero, che torna nella sua piccola isola natale senza nome nel sud del Cile. Qui ritrova la vecchia casa, ormai abbandonata, in cui ha trascorso l’infanzia con i suoi undici zii, la nonna e Julián, il suo gemello che invece non ha mai lasciato l’isola. I personaggi sembrano tutti uscire da una favola della tradizione orale cilena e la prosa è rilassata, leggera, concentrata soprattutto sulla descrizione dei conflitti che emergono nel corso della trama. I due protagonisti, Jerónimo e Julián, sono agli antipodi. Il primo, nonostante le sue origini rurali, è un sofisticato e colto cosmopolita. Ha vissuto all’estero e i suoi punti di riferimento sono europei: Walter Banjamin e Italo Calvino. Il suo gemello invece, dopo aver perso la moglie con cui è stato sposato per più di quarant’anni, vive isolato in cima a una collina. Dopo cinquant’anni di lontananza il riavvicinamento è pieno di tensione. Non poteva essere altrimenti. Nonostante gli echi di García Márquez, Montero riesce a costruire una narrazione originale in cui favola e leggenda contribuiscono a descrivere un mondo lontano dalla modernità.
Joaquín Castillo Vial, El País
Nel marzo del 2011 il preside di una scuola londinese chiede a uno degli insegnanti, Khaled, che viene dalla Libia, di tenere una lezione sulle proteste che molto presto sarebbero diventate le primavere arabe. Lui preferirebbe non farlo perché “non sa molto di politica”. La bugia è palese. Come gli dice l’amico Hosam, la storia è una corrente e nessun libico può sperare di nuotare controcorrente: “Ci siamo dentro e siamo fatti di quello”. La vita dello stesso autore, Hisham Matar, è stata crudelmente agitata da quella corrente. Questo è un romanzo coraggioso oltre che molto delicato, emotivamente e intellettualmente. Tre giovani uomini libici, esiliati a Londra, diventano amici, si allontanano e si ritrovano per poi perdersi definitivamente. Le loro storie risalgono all’infanzia, ma quella principale comincia nel 1984, quando alcuni militari dentro l’ambasciata libica a Londra sparano con un mitra su un gruppo di manifestanti disarmati. Khaled e un suo amico, un altro studente, sono tra i feriti. Rimangono settimane in ospedale sorvegliati dalla polizia. Sono sorvegliati anche dallo spionaggio libico e non possono comunicare nemmeno con le loro famiglie. La narrazione di Matar si avvita e torna ripetutamente a certi momenti cruciali che spesso sono silenziosi. Alla fine comprendiamo che questi tre uomini sono incapaci di formare famiglie felici perché tutto nella loro vita sembra diventare sempre più provvisorio.
Lucy Hughes-Hallett, The Guardian
Questo epico romanzo che si apre con la rivoluzione russa e rivaleggia con la storia di Lara e Jurij Živago, è un thriller appassionante e una complicata saga familiare che coinvolge tre donne di diverse generazioni. La storia comincia agli albori del novecento e continua fino agli anni novanta includendo favole, bambole di porcellana e una gran quantità di personaggi secondari ad arricchire la trama. Tonja nasce come una nobildonna russa, poi è perseguitata, carcerata e abbandonata in povertà dal regime bolscevico. Rosie, nata in Russia, vive nel Regno Unito dove è fuggita con sua madre dopo un evento terrificante che l’ha lasciata traumatizzata. Rosie vuole tornare nel paese d’origine per scoprire il terribile segreto di sua madre. La trama del romanzo e i suoi grandi temi (tradimento, vendetta, verità e amore) sono ispirati alla classica letteratura russa di cui l’autrice è studiosa.
Elayne Clift, New York Journal of Books
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati