Alle 19.45 dell’8 settembre 1943, all’annuncio dell’armistizio con gli angloamericani, i soldati italiani dovettero decidere da che parte andare. Racconta Claudio Pavone in Una guerra civile che nella confusione di quelle ore il primo desiderio di tutti i soldati, in barba alla fede politica, fu di tornare a casa dalle mamme, affratellati. Le strade si riempirono di uomini vestiti con abiti civili rimediati, alcuni anche da donna, che si salutavano nei dialetti opposti. Ma nel giro di pochi giorni le divisioni riemersero, e così la guerra. Fratelli d’Italia è il titolo di uno spettacolo a cui ho lavorato anni fa come drammaturga e musicista, con la regia di Francesco Micheli, per i teatri di Reggio Emilia, prima che diventasse il nome di un partito. Lo spettacolo raccontava il destino di due fratelli, gli zii di Micheli, che dopo l’8 settembre 1943, trovandosi in luoghi diversi, prendono decisioni opposte: Franco va a combattere con l’esercito del duce, Augusto con il re. L’argine di un fiume li separa fisicamente e idealmente. Nessuno dei due può immaginare che il nemico dall’altra parte sia il proprio fratello, fino alle più tragiche conseguenze. Avevamo intrecciato la loro storia con quella del Trovatore di Giuseppe Verdi: anche lì Manrico non sa di essere fratello del suo acerrimo rivale de Luna, che alla fine lo ucciderà. Solo allora la verità verrà a galla. Ma davvero dobbiamo scoprire di essere fratelli solo dopo esserci ammazzati?

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati