Anora è più fiaba di tutti gli altri ritratti di sex worker realizzati da Sean Baker. Perché in Starlet, Tangerine, Un sogno chiamato Florida e Red rocket ci sono elementi sentimentali, ma sono tutti film profondamente e affettuosamente radicati nei loro rispettivi mondi. Qui c’è una Cenerentola spogliarellista aggrappata a un sogno fin troppo precario. La principessa è Ani (Madison). Il nome per intero è Anora, cosa che lei, insieme alle origini uzbeche e alla conoscenza della lingua russa, tiene nascosta dietro un sorriso da servizio clienti e un atteggiamento materno verso la sua clientela. Elementi che fanno colpo su Vanya (Eydelshteyn), ricco e viziato figlio di un oligarca russo, che la paga per una “girlfriend experience” di una settimana. Anche Ani si affeziona a questa specie di Timothée Chalamet russo. Ciò che condividono non è proprio una storia d’amore, ma qualcosa che piace a tutti e due. Così si sposano e i genitori di Vanya inviano i loro scagnozzi. Di solito i film di Baker non sono molto politici. Sembra più interessato a concentrarsi sulle figure di sex worker come parte della nuova mitologia americana, una specie di evoluzione del cowboy dei western. Anora è un piccolo film che sembra più grande, innalzato dall’umorismo, dal caos e dalla tenerezza.
ClarisseLoughrey, Independent
Stati Uniti 2024, 138’. In sala
Dopo il successo inaspettato del semisperimentale Away, il regista lettone Zilbalodis sembra voler scrivere un nuovo capitolo della contrastata storia tra cinema d’animazione e videogiochi. Il film sembra ispirato al gioco Yo Frankie! creato con il software gratuito Blender, che poi è diventato lo strumento principale per la lavorazione del film. Al di là delle sfide tecniche e delle acrobazie economiche, Flow ci presenta un mondo in cui l’uomo non c’è più, cancellato da un’alluvione, e dove le creature sopravvissute sono ancora minacciate dalle acque. Il film si rifà esplicitamente alle opzioni formali dei boat movie in cui la fluidità prende il posto dell’arte poetica. Così il film naviga da un paesaggio all’altro raccontando l’avventura di sopravvivenza di una cricca di animali, liberi da ogni presenza umana. L’effetto generale, sostenuto dall’assenza di dialoghi, è affascinante e colloca il film in una zona indecifrabile tra iperrealismo e arte digitale, magnifico sfondo per un discorso implicitamente ecologista e antispecista.
Thierry Méranger, Cahiers du Cinéma
Nel 1894 il comandante francese Alfred-Amédée Dodds, dopo aver preso il potere nel regno del Dahomey, tornò in Francia con 26 oggetti regali. Nel 2021 la Francia ha restituito solennemente questi tesori al Benin, dove sono stati esposti nel palazzo presidenziale di Cotonou. Per immortalare questo momento, la giovane regista franco-senegalese Mati Diop ha realizzato un film breve, intenso, sentito. L’attenzione dello spettatore è portata verso la statua numero 26, quella di re Ghezo. Attraverso di lui è raccontata la storia, con una voce fuori campo “soggettiva” che sembra arrivare dalla profondità del tempo.
Jacques Mandelbaum, Le Monde
Francia / Bosnia-Erzegovina / Norvegia / Croazia / Serbia 2023, 93’. In sala
Nel 2014 sette ragazze fra i 13 e i 14 anni di una scuola di Banja Luka, in Bosnia, tornarono incinte da una gita scolastica. La vicenda, in un paese diviso tra valori patriarcali ultraconservatori e accenni incerti di liberalizzazione dei costumi, infuocò l’opinione pubblica. Invece di raccontare direttamente il fatto di cronaca, per il suo primo film Una Gunjak ha scelto di adottare il punto di vista di una timida adolescente, Iman, un po’ mitomane, che volendo dare sostanza ai suoi desideri racconta una serie di bugie: dice di essere andata a letto con un ragazzo poco più grande e induce gli altri a credere che sia rimasta incinta. Il film segue la doppia spirale intrecciata di bugie e pettegolezzo. Gunjak ha un occhio attento, ma forse il suo film è troppo timido, come la sua protagonista, e non offre nessun sollievo.
Camille Nevers, Libération
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