Il 3 gennaio, durante la loro prima visita nella Siria del dopo Assad, i capi della diplomazia francese e tedesca hanno chiesto una transizione politica pacifica e inclusiva, una promessa che il nuovo leader siriano Ahmed al Sharaa aveva già fatto dopo la fuga di Bashar al Assad, l’8 dicembre. Al Sharaa ha nominato un governo di transizione che resterà in carica fino al marzo 2025, quando è previsto l’insediamento di un gabinetto di tecnici. Intanto a gennaio dovrebbe svolgersi una conferenza nazionale sul futuro della Siria, a cui Al Sharaa ha promesso di invitare mille partecipanti. Nonostante gli annunci promettenti, c’è chi mette in guardia dall’occupazione dei centri di potere avviata dal nuovo uomo forte del paese, anche noto con il nome di battaglia Abu Mohammed al Jolani, comandante del gruppo Hayat tahrir al Sham (Hts), la fazione dominante della coalizione di ribelli che ha rovesciato Assad.

Se, da una parte, Al Sharaa si sforza di far dimenticare il suo passato jihadista, dall’altra vuole estendere il controllo su una Siria frammentata da più di dieci anni di guerra. L’attuale governo di transizione è un’emanazione di quello che gestiva la provincia di Idlib, anche se è stato lanciato un dialogo con leader religiosi ed esponenti della società civile e delle comunità locali. Alla fine di dicembre Al Sharaa ha cominciato a ristrutturare l’esercito. Una cinquantina di combattenti ribelli – tra cui jihadisti non siriani – sono diventati dei graduati, mentre il capo militare di Hts, Murhaf Abu Qasra, è diventato ministro della difesa.

Queste nomine sono state criticate. Lo stesso Al Sharaa ha riconosciuto che si tratta di persone provenienti solo dai ranghi dell’Hts e si è giustificato dicendo che “quando ci sarà un governo di transizione con un mandato più lungo, si potrà prevedere una partecipazione più ampia”. Sicuramente si sono svolti incontri con altri gruppi di combattenti per integrarli nelle nuove forze armate. Tuttavia le Forze democratiche siriane (Fds, a maggioranza curda), che ancora si scontrano con i miliziani filoturchi nel nordest, hanno posto condizioni riguardo alla loro autonomia e alla spartizione delle risorse petrolifere nel loro territorio. Sono stati coinvolti anche i potenti gruppi armati del sud, in particolare le forze di Ahmad al Awda di Daraa e i drusi di Al Suwayda, arrivati a Damasco prima dell’Hts. “Se vuole che altre milizie sostengano la transizione e la considerino legittima, Al Sharaa dovrà chiarire meglio il ruolo che avranno nell’esercito”, osserva l’analista statunitense Steven Heydemann.

Un calendario sospetto

Il governo di transizione sta cercando di rassicurare la comunità internazionale sulle sue intenzioni, con l’obiettivo di far revocare le sanzioni. Il 30 dicembre il capo dell’Hts ha incontrato alti funzionari cristiani a Damasco, dopo aver ripetutamente assicurato che le minoranze saranno protette e coinvolte nella transizione. “L’Hts ha adottato una retorica positiva sull’inclusione delle minoranze, compresi i curdi”, osserva Heydemann. “Ma in pratica non ha agito per integrarle. Può ancora farlo, ma è in ritardo”.

Al Sharaa ha promesso di indire le elezioni, però ha dichiarato che per avere una nuova costituzione potrebbero volerci fino a tre anni e un altro anno per l’organizzazione del voto. Con contorni e meccanismi ancora poco chiari, ha descritto la transizione come un processo che richiede “attenzione meticolosa” e “pazienza”. Un calendario che alimenta il timore che l’Hts stia cercando di prendere tempo. I rappresentanti dell’opposizione siriana in esilio non sono stati invitati al dialogo nazionale di gennaio, mentre secondo alcuni osservatori gli ospiti sono stati scelti da Al Sharaa in persona. I partecipanti dovrebbero inoltre intervenire a titolo personale, non come rappresentanti di fazioni politiche. Un modo per minimizzare il loro peso? “Da una conferenza del genere non possono uscire delle decisioni. Non sono state fissate regole su come prenderle. È difficile immaginare che il suo obiettivo vada oltre le pubbliche relazioni”, sostiene Joshua Landis, direttore del centro studi sul Medio Oriente dell’università dell’Oklahoma, negli Stati Uniti. ◆ adg

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Questo articolo è uscito sul numero 1596 di Internazionale, a pagina 23. Compra questo numero | Abbonati