Editoriali

Conseguenze limitate per l’Europa

L’allarme per l’ascesa dell’estrema destra è esagerato. Non sarà Giorgia Meloni a condizionare la politica estera ed economica dell’Unione europea, scrive il politologo Cas Mudde

Il primo capo di governo d’estrema destra nell’Europa occidentale del dopoguerra sarà una donna: Giorgia Meloni. Alle elezioni del 25 settembre la coalizione da lei guidata ha ottenuto circa il 44 per cento dei voti. A causa di un sistema elettorale che distribuisce i seggi in modo non proporzionale al numero di voti, e per via della mancata alleanza elettorale tra il Partito democratico e il Movimento 5 stelle, la destra avrà una netta maggioranza in parlamento.

Il cambiamento più importante riguarda le dinamiche di potere interne al blocco di destra. Fino al 2018 la coalizione era dominata da Silvio Berlusconi, problematico da tutti i punti di vista, ma non di estrema destra. Nel 2018 il suo partito, Forza Italia, è stato superato dalla Lega di Matteo Salvini. Ora sono i postfascisti di Fratelli d’Italia a dominare la coalizione.

La loro netta vittoria alimenterà ulteriormente il nervosismo dei mezzi d’informazione sull’ascesa dell’estrema destra in Europa. Ma questi toni sono in gran parte antistorici e inesatti. In primo luogo, ignorano le molte sconfitte elettorali dei partiti di estrema destra nelle elezioni recenti di alcuni paesi, tra cui Germania, Norvegia e Slovenia. In secondo luogo, bisogna ricordare che i partiti di estrema destra si sono affermati in Europa già all’inizio del secolo, in alcuni casi andando al governo.

Se c’è qualcosa degno di nota nelle vittorie recenti di Fratelli d’Italia (FdI) e dei Democratici svedesi, è che entrambi i partiti hanno le loro radici ideologiche e organizzative nel (neo)fascismo. Ma nemmeno questo è un caso unico: era così anche per Alleanza nazionale, il partito da cui è nato FdI, che ha fatto parte dei governi di Berlusconi prima di fondersi con Forza Italia nel Popolo della libertà. E, cosa più importante, dal punto di vista ideologico il partito di Meloni e i Democratici svedesi non sono né più radicali né più moderati di altri partiti populisti di destra, come il Partito della libertà austriaco o il Rassemblement national in Francia.

Allo stesso modo, le teorie secondo cui il nuovo governo italiano d’estrema destra avrà conseguenze significative sull’Unione europea, o potrebbe perfino rappresentare una vittoria per il presidente russo Vladimir Putin, sono sbagliate oltre che esagerate. È vero che sia Meloni sia Salvini hanno a lungo sostenuto Putin, ma entrambi hanno sfumato notevolmente la loro posizione dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Inoltre la coalizione è dominata da FdI, che nel parlamento europeo fa parte dei Conservatori e riformisti europei, un gruppo politico dominato dal partito polacco Diritto e giustizia, molto critico nei confronti di Putin.

Vincoli europei

Come la Polonia e l’Ungheria, l’Italia dipende molto dai fondi europei, soprattutto dopo la pandemia di covid-19. Il nuovo governo non vorrà rischiare di perdere quei soldi né tantomeno avviare un percorso per uscire dall’Unione. Detto questo, è molto probabile che il governo italiano sosterrà la Polonia al consiglio europeo, rendendo il governo di Varsavia meno dipendente dal primo ministro ungherese Viktor Orbán, con il quale le relazioni si sono logorate dall’inizio della guerra in Ucraina. Tuttavia ci sono buone ragioni per aspettarsi che il nuovo governo italiano non sarà un protagonista della politica europea. In primo luogo, FdI è arrivato al potere evitando di attirare troppo l’attenzione, come dimostra la decisione di restare fuori da diversi governi. Meloni ha approfittato del fatto di essere l’anti-Salvini, presentandosi come una candidata relativamente tranquilla e prevedibile. Il giornalista britannico Simon Kuper ha osservato che, se Berlusconi e Salvini rappresentano un populismo spettacolare alla Donald Trump, Meloni è più simile a Orbán: più riforme politiche e meno colpi di teatro.

In secondo luogo, Meloni è una leader ancora da mettere alla prova, che dipende da due politici esperti, entrambi con un ego gigantesco e un forte desiderio di essere al centro dell’attenzione e del potere. Meloni ha mostrato di avere un ego relativamente piccolo per essere una politica ed è stata brava a condividere i riflettori con gli altri. C’è da chiedersi se Berlusconi e Salvini, politici abituati a ostentare la loro virilità, saranno davvero in grado di fare da spalla a una donna.

In terzo luogo, il nuovo governo arriva al potere nel momento peggiore. Come il resto d’Europa, Roma sta affrontando una crisi economica ed energetica che sicuramente si aggraverà durante l’inverno. L’Italia è già più in difficoltà di altri paesi, perché risente ancora delle conseguenze di un’altra recessione e della pandemia, ed è inoltre particolarmente dipendente dal gas e dal petrolio russo. Anche se la maggioranza parlamentare della destra è ampia e potrà facilmente assorbire singole defezioni, nei prossimi mesi tutti i partiti della coalizione seguiranno nervosamente i sondaggi.

Per tirare le somme, le elezioni italiane sono state eccezionali e al tempo stesso ordinarie. Eccezionali perché Meloni sarà la prima donna a guidare l’Italia e la prima leader d’estrema destra a guidare un paese dell’Europa occidentale. Ma sono state ordinarie nel senso che i partiti (e le idee) di estrema destra fanno parte della politica europea da almeno due decenni. La cosa più sorprendente e deprimente è che le forze liberaldemocratiche sembrano non avere ancora un’idea di come affrontare questa realtà. ◆ ff

Il postfascismo nel cuore del continente

La vittoria di Meloni è una ulteriore dimostrazione del clamoroso fallimento del progetto europeo, sostiene un editoriale del sito spagnolo Revista Contexto

Nel 1922 Benito Mussolini formò e guidò un governo di coalizione composto da diverse forze conservatrici. Anche se aveva solo l’8,15 per cento dei voti, il leader del Partito nazionale fascista conquistò il potere minacciando di far marciare su Roma le camicie nere e forzando la mano al re Vittorio Emanuele III. Un secolo dopo, l’Italia potrebbe avere un governo presieduto da una discendente spirituale di Mussolini. Giorgia Meloni guida il partito Fratelli d’Italia (FdI), erede del Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante, un fascista che aveva militato nella Repubblica di Salò, ultimo bastione mussoliniano alleato dei nazisti verso la fine della seconda guerra mondiale.

I mezzi d’informazione italiani ed europei hanno sminuito la portata di questa inquietante giornata elettorale, ricorrendo a contorsioni linguistiche ed eufemismi vari. Alcuni hanno definito l’alleanza di Meloni con la Lega xenofoba di Matteo Salvini e con il maschilismo di Silvio Berlusconi come “coalizione di centrodestra” o “alleanza conservatrice”. Altri hanno lanciato l’allarme parlando di “trionfo dell’estrema destra”.

Roma, 22 settembre 2022 (Alessandro Penso)

In realtà siamo davanti alla vittoria travolgente, nella terza economia dell’Unione europea, di una coalizione guidata da una forza politica d’ispirazione fascista, tanto da mantenere nel logo la fiamma che rappresenterebbe la fiaccola sulla tomba di Mussolini. Non si tratta semplicemente di estrema destra ma del fascismo eterno teorizzato da Umberto Eco, che torna al potere con un travestimento grossolano. Meloni è una donna giovane proveniente da un quartiere popolare. Fa parte dell’internazionale neofascista (che ha attecchito negli Stati Uniti, in Polonia, in Ungheria, in Francia e in Spagna), appoggiata senza vergogna da quelli che un tempo erano mezzi d’informazione antifascisti e da partiti democristiani e conservatori.

Qualcosa di sinistra

L’indiscutibile vittoria di Meloni, che è passata dal 4,3 per cento dei voti del 2018 al 26 per cento del 2022, evidenzia la definitiva normalizzazione dei partiti neofascisti nel cuore dell’Europa. Non stiamo più parlando della lontana Ungheria o dell’ultracattolica Polonia. L’Italia è un paese fondatore dell’Unione europea e l’affermazione schiacciante di Fratelli d’Italia è il frutto di un fallimento clamoroso del progetto europeo. È anche un passo indietro preoccupante per la vecchia promessa di una democrazia avanzata, diritti umani per tutte e tutti, cultura e inclusione sociale. Una promessa già in parte tradita dalla pessima gestione tedesca della crisi del 2008, quando Berlino decise di punire i cittadini per gli eccessi del settore finanziario e di umiliare il governo di sinistra in Grecia, favorendo la crescita dell’estrema destra in tutto il continente.

L’astensione al 36 per cento, la più alta da quando l’Italia si è lasciata alle spalle l’ultima guerra mondiale con la sua costituzione antifascista, ci ricorda che l’estrema destra, come è già successo con il fascismo un secolo fa, prospera grazie a tre elementi: la normalizzazione dei suoi ideali antidemocratici alimentata dai grandi mezzi d’informazione e dai loro padroni; la nausea e la disaffezione di un elettorato che si sente chiamato a partecipare alla cosa pubblica solo mettendo una croce su una scheda ogni cinque anni; e l’abbandono delle politiche redistributive e della vocazione di giustizia sociale della socialdemocrazia, a vantaggio di un’adesione incondizionata al dogma di un capitalismo cinico.

La moderazione di Meloni nel suo discorso dopo la vittoria elettorale non deve ingannare. Come ha dimostrato il suo intervento in Andalusia alla manifestazione di Vox (il partito spagnolo di estrema destra), la leader di FdI è un’esaltata, con un programma politico che mette in pericolo i diritti delle donne, delle persone lgbt+, degli immigrati e dei più poveri, favorendo le grandi aziende, la chiesa più reazionaria e altre forze che vogliono meno democrazia.

Il trionfo di Meloni è una notizia pessima, ma in fondo anche logica. La dinamica della guerra sta accelerando l’involuzione dell’Europa, e l’Italia nel bene e nel male è sempre stata il laboratorio politico del continente. Dopo il ventennio berlusconiano e quasi un decennio di governi tecnici falsamente socialdemocratici, i postfascisti, dopo essersi piegati ai dettami della Nato e dell’austerità, sono diventati degli ottimi candidati per amministrare la nuova eccezionalità. Così l’Italia precipita verso un governo dalle tinte autoritarie che sarà il perno di un bizzarro asse Roma-Budapest-Varsavia. Piangere sul latte versato non ha senso, ma quanto aveva ragione Nanni Moretti quando nel suo film Aprile chiedeva a Massimo D’Alema di dire “qualcosa di sinistra”! ◆ as

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1480 - 30 settembre 2022
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