Editoriali

Bruciare pensando ad altro

La mappa meteorologica dell’Europa del sud è ancora rosso acceso, con temperature che superano i 40 gradi. Giugno è stato il mese più caldo sulla Terra negli ultimi 120mila anni, mentre la settimana più torrida è arrivata all’inizio di luglio. Il caldo estremo, gli incendi boschivi e le inondazioni stanno devastando ampie aree degli Stati Uniti, del Canada, del Giappone, della Corea del Sud, dell’India e della Cina.

Il riscaldamento globale non è l’unica causa dell’impatto infernale di Cerbero e Caronte, le ondate di calore chiamate come i mitici abitanti dell’Ade. Come nel 2016, l’anno più caldo registrato finora, il ritorno del Niño contribuisce a far salire la temperatura. Ma ogni volta che si ripresenta questo fenomeno naturale, solitamente responsabile di un incremento di 0,2 gradi, trova un pianeta più caldo a causa delle emissioni di gas serra. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale siamo entrati in “territorio inesplorato”. Molti scienziati sostengono che la soglia degli 1,5 gradi in più rispetto all’epoca preindustriale, fissata dagli accordi di Parigi, potrebbe essere superata addirittura quest’anno. I decessi, l’emigrazione di massa, la perdita dei raccolti e l’impennata dei prezzi dei generi alimentari sono già una realtà, e il peggio deve ancora arrivare. Ne siamo consapevoli, ma la politica europea mostra preoccupanti segnali di immobilismo. Gli strascichi della pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi energetica e lo spettro di una recessione stanno distogliendo l’attenzione dalla riduzione delle emissioni. L’11 luglio una parte fondamentale del green deal europeo è stata approvata con un margine strettissimo, dopo essere stata pesantemente ridimensionata. In settori cruciali come i trasporti, lo stile di vita e l’agricoltura i progressi sono troppo lenti. In Germania, Spagna, Paesi Bassi e altrove la destra nazionalista sta trasformando la lotta al cambiamento climatico in un campo di battaglia per le sue guerre culturali.

Dopo una serie infinita di rapporti scientifici, conferenze e dichiarazioni d’intenti, l’idea che le ondate di calore possano essere un campanello d’allarme per i governi e i cittadini sembra ormai campata in aria. Cerbero e Caronte ci ricordano che il clima non può essere messo in pausa mentre affrontiamo altre crisi. L’Europa si riscalda più rapidamente di qualsiasi altro continente, ma la politica non tiene il passo. Il tempo sta davvero per scadere. I politici progressisti devono ritrovare il coraggio delle loro idee e un adeguato senso di urgenza. ◆ as

Il lavoro sporco della Tunisia

Persone esauste che muoiono di sete nella polvere del Sahara: le immagini dei migranti abbandonati nel deserto al confine meridionale della Tunisia sono terribili. Difficile immaginare un modo più brutale di tenere lontani gli indesiderati. Finora questi metodi erano usati soprattutto dall’Algeria, ma ora anche la Tunisia sta seguendo il suo esempio.

Non è una coincidenza che il paese abbia scelto questa strada mentre stava trattando con l’Unione europea una collaborazione più stretta in materia di migrazione. Il presidente Kais Saied ha bisogno di soldi per coprire le spese del governo, e l’Unione vuole che le partenze dei migranti calino, e subito. L’estrema destra è in crescita e a maggio ci sono le elezioni europee. Così Bruxelles ha promesso centinaia di milioni di euro a Saied, e la Tunisia si è impegnata ad aumentare i controlli alle frontiere. Questi impegni sono quasi sempre accompagnati da un aumento della brutalità contro i migranti. Nessuna delle formule diplomatiche usate negli accordi tra l’Unione e i suoi partner per garantire il rispetto dei diritti umani è riuscita a prevenire l’uso della violenza contro le persone che fuggono. Una violenza che gli europei da tempo accettano senza protestare, e che è pagata con i loro soldi.

È l’ennesima sconfitta della primavera araba. I dimostranti che hanno abbattuto il regime di Ben Ali nel 2011 protestavano anche contro il servizio di buttafuori svolto dal loro paese per conto dell’Europa. Gli anni successivi sono stati segnati dal dibattito su cosa fosse più importante: i soldi europei o il tentativo di lavorare con gli altri stati africani per costruire un rapporto con l’Europa basato sui diritti umani e sugli interessi comuni del continente. Ora la Tunisia ha scelto i soldi. Il risultato sarà più violenza e morte ai suoi confini. ◆ gac

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1521 - 21 luglio 2023
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