Editoriali

Fermare la guerra a Gaza

Migliaia di morti, devastazioni ovunque, centinaia di migliaia di profughi: la mattina del 18 ottobre era questa la situazione a Gaza, sotto embargo da più di un decennio, con il 65 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà e la fornitura di acqua ed elettricità già precaria da tempo. Undici giorni dopo i terribili massacri compiuti il 7 ottobre da Hamas, per Israele l’applicazione del diritto a difendersi rischia di minacciare proprio i princìpi che lo distinguono dagli stati terroristi. Chi può credere che il caotico spostamento di almeno un milione di persone permetterà di separare i civili dai miliziani di Hamas? Come distruggere le infrastrutture militari sotterranee senza abbattere contemporaneamente centinaia di abitazioni?

Israele rischia di ritrovarsi in trappola. Il trauma innescato dall’incapacità dello stato ebraico di proteggere i suoi cittadini ha spinto le istituzioni israeliane a indicare imprudentemente un obiettivo molto difficile da raggiungere: la distruzione completa di Hamas. Ciò presuppone una campagna militare particolarmente intensa, senza garanzie di successo. Al tempo stesso una tale dimostrazione di forza farà solo aumentare il rischio di pericolose sbandate, che indeboliranno Israele anche nei confronti dei paesi arabi con i quali ha appena avviato relazioni ufficiali. Ma Israele non è l’unico a dover fare i conti con questo dilemma. Anche gli alleati occidentali, che in Ucraina continuano a presentarsi come intransigenti difensori del diritto internazionale, sono in difficoltà. Il presidente statunitense Joe Biden ha visitato in gran fretta la regione, a conferma delle preoccupazioni di Washington per una possibile escalation. Ma la missione di Biden del 18 ottobre è cominciata male: l’incontro previsto con i leader di alcuni paesi arabi è stato cancellato in seguito a un’esplosione avvenuta il giorno prima in un ospedale di Gaza, di cui le milizie palestinesi e l’esercito israeliano si rimpallano la responsabilità.

Senza dubbio Biden conta su questa visita per cercare di calmare la rabbia degli israeliani, dopo aver già messo in guardia contro i pericoli di un’eventuale occupazione di Gaza e aver invitato le autorità israeliane a rispettare il “diritto di guerra”. Tuttavia il presidente statunitense sa bene che una simile esortazione non ha molto senso a Gaza, dove questo diritto, come il diritto umanitario, è regolarmente violato. I fatti degli ultimi giorni c’impongono di sottolineare che il desiderio di vendetta non può essere considerato un obiettivo di guerra e che bisogna fermare al più presto questa corsa verso l’abisso. ◆ adr

Il valore delle proteste pacifiche

I massacri di civili israeliani compiuti da Hamas sono stati paragonati agli attenti dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti per la loro spaventosa brutalità. Alcuni punti in comune ci sono. All’indomani dell’attacco di Hamas, per esempio, c’è stata un’ondata di razzismo antiarabo. E hanno cominciato a circolare astruse teorie del complotto antisemite. La solidarietà con Israele è stata travolgente. E il fatto che i crimini di Hamas siano stati celebrati anche in Germania ha giustamente provocato orrore. Glorificare l’omicidio non può essere tollerato. Perché alla propaganda possono seguire i fatti, come dimostra l’uccisione di un insegnante in Francia.

Ma oltre all’antisemitismo, sui social media sono apparsi anche i pregiudizi contro i palestinesi, identificati senza distinzioni con il terrorismo di Hamas e guardati con sospetto. Alle scuole di Berlino è stata data la possibilità di vietare simboli come la kefiah palestinese, considerati capaci di “mettere in pericolo la pace scolastica”. Anche la bandiera palestinese è stata confiscata. Sia chiaro: non quella di Hamas, ma quella della Palestina, che sventola anche davanti alle Nazioni Unite a New York.

Già prima dei fatti più recenti, in Germania non c’era quasi spazio per le voci palestinesi, che ora rischiano di sparire del tutto. La polizia interrompe le manifestazioni di solidarietà, perfino quelle di attivisti ebrei e israeliani. A Berlino vivono più di ventimila persone di origine palestinese. In Germania sono circa centomila. Molte hanno familiari nella Striscia di Gaza e assistono con ansia alla campagna militare israeliana. A chi manifesta pacificamente per la fine della violenza dev’essere garantita la libertà d’espressione e di associazione. Dovremmo ascoltare queste persone .◆

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1534 - 20 ottobre 2023

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