Editoriali

Basta con l’impunità a Gaza

Il 20 maggio, quando ha chiesto l’emissione di mandati d’arresto per i leader di Israele e Hamas per i massacri di civili israeliani del 7 ottobre 2023 e per quelli di civili palestinesi nella guerra che devasta Gaza, il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) Karim Khan sapeva che avrebbe ricevuto molte critiche. Nella maggior parte dei casi sono venute da chi ritiene vergognoso mettere sullo stesso piano un’organizzazione considerata terrorista da Stati Uniti e Unione europea e un governo eletto democraticamente che sostiene di volersi difendere.

Ma le accuse rivolte alla Cpi – soprattutto da paesi che le sono ostili fin dalla sua nascita, nel 1998, a cominciare dagli Stati Uniti – sono poco convincenti. La linea di Khan, come ha spiegato lui stesso, si basa sulla volontà di ricordare che “il diritto internazionale umanitario si applica in modo imparziale a tutte le parti coinvolte in un conflitto armato. Solo così potremo dimostrare concretamente che tutte le vite umane hanno lo stesso valore”.

Non c’è alcun dubbio sulla portata dei crimini di guerra di cui si sono resi colpevoli i miliziani di Hamas, ma è altrettanto evidente che la risposta dell’esercito israeliano ha ignorato le norme che garantiscono il diritto umanitario in un conflitto. I politici israeliani per cui è stato chiesto il mandato d’arresto – il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant – non hanno mai fatto mistero delle loro intenzioni a Gaza. Al centro delle indagini c’è soprattutto il fatto di aver ostacolato la consegna di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza.

Anche l’accusa di non avere competenza per giudicare il caso non regge. Certo, a differenza dello “stato di Palestina”, Israele non riconosce la Cpi. Ma è altrettanto vero che a Gaza non esiste alcun sistema giudiziario che possa costringere Hamas a rispondere delle sue azioni, mentre in Israele l’esercito gode da tempo di una documentata impunità per le operazioni nei territori palestinesi conquistati nel 1967. Israele oggi ne paga il prezzo.

Ora un collegio di giudici si pronuncerà sulla richiesta di Khan. Nell’attesa vale la pena di elogiare il comportamento della corte. È triste che la prima reazione israeliana sia stata invitare gli alleati a tagliare i finanziamenti alla Cpi. Ma la benda sugli occhi nell’immagine allegorica della giustizia rappresenta l’imparzialità, non è un bavaglio. ◆ as

I fondi europei contro i migranti

Da anni l’Unione europea stanzia milioni di euro per i paesi africani, con l’obiettivo di fermare i disperati decisi a raggiungere l’Europa. I fondi – almeno nei casi di Marocco, Mauritania e Tunisia – sono usati in parte per addestrare agenti e comprare veicoli, imbarcazioni e altri strumenti destinati a intercettare i migranti, arrestarli e trasportarli in deserti e aree remote. Lì sono abbandonati senz’acqua né cibo, esposti ai pericoli di luoghi inospitali e agli abusi delle autorità. La mancanza di trasparenza rende difficile seguire il percorso del denaro, ma un’inchiesta condotta dal País insieme all’organizzazione Lighthouse reports e ad altre testate ha rivelato quello che tutti sapevano: l’Unione europea sa bene che gli alleati africani gestiscono l’immigrazione irregolare con metodi brutali.

Gli accordi hanno suscitato forti critiche perché così l’Unione appalta, senza la minima garanzia, una politica essenziale – quella sulle migrazioni – che avrà effetti enormi alle elezioni europee del 9 giugno. La Commissione europea sostiene che i contratti con i paesi africani hanno clausole sul rispetto dei diritti umani. Allora perché non sono applicate? L’Unione forse non può intervenire nelle scelte politiche di stati sovrani, ma potrebbe influenzare il modo in cui è speso il denaro pubblico. L’immigrazione irregolare è una questione complessa, non c’è una formula magica per risolverla ma può essere gestita in modo più umano ed efficiente. Questa è anche la ricetta migliore per combattere l’estrema destra, che ha ottenuto tanti vantaggi attaccando gli immigrati. Di recente, tra l’altro, quindici paesi hanno proposto di inasprire ulteriormente la politica comunitaria sull’immigrazione. Questa eventualità dovrebbe allarmare l’Unione e ricordarle che, oltre agli interessi economici, avrebbe anche il compito di difendere i valori europei. ◆ as

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1564 - 24 maggio 2024
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