Editoriali

Lezioni da una nuova epidemia

Un nuovo allarme dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) era solo questione di tempo. A preoccuparla ora è l’mpox, una malattia conosciuta anche come vaiolo delle scimmie, che l’ha obbligata a dichiarare un’emergenza di salute pubblica internazionale. I paesi più colpiti sono quelli del sud del mondo, in particolare in Africa.

L’Oms ha attivato questo livello di allerta per portare l’attenzione sulle epidemie che possono colpire ovunque. A quanto sembra, l’allarmismo è l’unico modo per garantire che le contromisure siano coordinate globalmente.

Questo rende ancora più amaro il fallimento dell’accordo che l’Oms avrebbe voluto raggiungere alla fine di maggio, dopo anni di preparativi. L’obiettivo era trarre un insegnamento dalla pandemia di covid-19, che ha lasciato dietro di sé una lunga scia di morti e di persone con problemi di salute, oltre a perdite economiche e a un aumento del divario tra ricchi e poveri. Un accordo internazionale – basato su impegni volontari – avrebbe reso tutti più pronti ad affrontare la prossima emergenza. Ma il progetto è fallito per la riluttanza dei paesi industrializzati a cambiare strada sui brevetti di medicinali e vaccini e perché i paesi del sud del mondo non hanno voluto assumersi impegni concreti per monitorare e denunciare le malattie infettive che possono passare dagli animali agli umani. I dibattiti all’interno dell’Oms, che ruotavano soprattutto intorno alle questioni finanziarie, sono stati accompagnati dalle polemiche complottistiche dei gruppi no-vax, che vedono nell’agenzia delle Nazioni Unite una potenza mondiale repressiva.

Con l’mpox, la comunità globale fa i conti con la realtà. Le organizzazioni per la cooperazione e lo sviluppo economico chiedono ancora una volta agli stati ricchi di fornire subito i vaccini e garantire a tutti l’accesso alla diagnostica. Gli scienziati ripetono ancora una volta quello che hanno scoperto sulla trasmissione delle malattie e la loro diffusione.

Tutto questo dovrebbe suonare familiare. Gli appelli per una maggiore solidarietà internazionale sentiti dopo la pandemia di covid-19 sembrano già dimenticati. Sarebbe bene cercare subito di raggiungere un nuovo accordo. Perché il prossimo allarme arriverà presto. ◆ nv

Non dimentichiamo il Sudan

Lontano dall’Ucraina e da Gaza c’è un altro terribile conflitto e sconvolge il Sudan, paese dell’Africa orientale situato in una posizione strategica sul mar Rosso. Il 14 agosto si sono aperti a Ginevra i negoziati per un cessate il fuoco, riportando l’attenzione sulla guerra civile che dall’aprile 2023 oppone l’esercito, guidato dal generale Abdel Fattah al Burhan, ai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) dell’ex braccio destro di Al Burhan, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, legato alle milizie janjawid che parteciparono al genocidio in Darfur negli anni duemila. Nel 2021 i due generali avevano organizzato insieme un colpo di stato, vanificando i risultati ottenuti dalla rivolta che nel 2019 aveva fatto cadere la dittatura di Omar al Bashir.

L’esito delle trattative di Ginevra, promosse dagli Stati Uniti, è incerto, anche perché l’esercito rifiuta di parteciparvi. Il dialogo vorrebbe creare le condizioni per una tregua in un conflitto che ha causato tra i 19mila e i 150mila morti, a seconda delle stime, undici milioni di sfollati e 2,3 milioni di profughi. Oggi le parti in guerra bloccano l’accesso degli aiuti umanitari, mentre 25 milioni di sudanesi, più di metà della popolazione, soffrono la fame. A queste atrocità si sono aggiunte le piogge torrenziali, creando quella che l’Onu ha definito “una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi decenni”.

Se il conflitto va avanti è anche perché i protagonisti ricevono sostegno dall’estero. L’Egitto e l’Arabia Saudita aiutano l’esercito; gli Emirati Arabi Uniti e la Russia le Rsf. La guerra per procura coinvolge numerose milizie e decine di migliaia di civili. Il cessate il fuoco passa dalla fine dell’ingerenza dei paesi stranieri e deve favorire l’inclusione dei rappresentanti della società civile sudanese che nel 2019 è stata capace di far cadere la dittatura. Solo forti pressioni internazionali possono avviare un processo simile, e per metterle in atto è indispensabile strappare l’atroce guerra in Sudan al silenzio mortale che la avvolge. ◆ as

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1577 - 23 agosto 2024
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