Editoriali

Tregua fragile in Libano

Ora che è stato siglato un cessate il fuoco tra Libano e Israele, è arrivato il momento di capire chi ci perde e chi ci guadagna.

Il primo premio se lo aggiudicano gli Stati Uniti. Incapaci di controllare la furia israeliana nella Striscia di Gaza, sono almeno riusciti a farsi ascoltare in Libano. Joe Biden potrà dire di aver concluso il suo vacillante mandato da presidente con un importante successo diplomatico, ma dovrà comunque condividere il riconoscimento con il suo successore, Donald Trump.

Tra i vincitori c’è anche la Francia, che ha dimostrato di avere un ruolo di primo piano nelle questioni di politica estera che riguardano il Libano. Quanto a Israele, come al solito sembra accettare controvoglia uno sviluppo che è però in linea con i suoi obiettivi dichiarati, a cominciare dal ritorno a casa in sicurezza degli sfollati della Galilea, la regione del nord al confine con il Libano. Lo dimostra il tira e molla andato in scena a Tel Aviv: i falchi del regime, pur rimproverando al premier Benjamin Netanyahu di aver perso un’occasione unica per farla finita con Hezbollah, si sono ben guardati dal minacciare una crisi di governo.

Il Libano non è ancora uscito dalla situazione surreale in cui annaspa da più di un anno. Il consiglio dei ministri accetterà il cessate il fuoco, mettendo fine a una guerra che non ha mai dichiarato né voluto. Peggio ancora, il primo ministro uscente non ha mai partecipato al negoziato, limitandosi a fare da tramite tra Amos Hochstein, mediatore degli Stati Uniti, e Hezbollah, che invece seguiva le direttive dell’Iran.

Il cessate il fuoco è una buona notizia, ma di certo non risolve la questione libanese. Il problema, allontanato dalla zona di frontiera con grande gioia degli israeliani, rischia di emergere ancora più irrisolvibile nel resto del paese. In questo contesto è necessario che ognuno faccia ricorso alla buona volontà e cambi rotta in modo drastico. Hezbollah deve dimostrare di volere gli interessi del Libano più che dell’Iran: lo deve a tutto il paese, non solo alla comunità sciita, particolarmente provata dai suoi azzardi e di fatto abbandonata.

Anche gli altri protagonisti sono tenuti ad agire con intelligenza per rimettere insieme i pezzi del puzzle libanese, complicato anche dalle interferenze straniere. Dalle vittime, dalle sofferenze e dalla distruzione di questa guerra deve ripartire una vera ricostruzione. ◆ as

I dazi pericolosi di Trump

Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca tra due mesi, ma ha già cominciato a presentare il suo piano per far prevalere gli interessi degli Stati Uniti nel mondo, come aveva promesso in campagna elettorale. Il 25 novembre ha annunciato che imporrà dazi del 25 per cento sui prodotti provenienti da Canada e Messico se i due paesi non bloccheranno il traffico di droga e l’immigrazione irregolare verso gli Stati Uniti. Ha aggiunto che aumenterà quelli già in vigore sulle merci cinesi, dal 15 al 25 per cento per cento, se Pechino non fermerà le esportazioni dei principi attivi usati nella fabbricazione del fentanyl, un oppioide che ogni anno causa negli Stati Uniti la morte di decine di migliaia di persone.

Già durante il suo primo mandato Trump ha cercato di usare il protezionismo per imporsi sugli altri paesi, ma senza ottenere risultati concreti. I dazi avrebbero dovuto ridurre il deficit commerciale statunitense, che invece era aumentato di un quarto durante la sua amministrazione. Gli scambi con la Cina si erano ridotti, ma le barriere doganali erano state aggirate. Le aziende cinesi avevano spostato la produzione in paesi come Messico, Vietnam, Taiwan e Malesia.

Queste politiche protezionistiche potrebbero avere effetti negativi sull’economia statunitense, facendo aumentare i prezzi per i produttori e per i consumatori. I dazi sulle merci che arrivano da Messico e Canada, in particolare, farebbero costare di più i prodotti agricoli, i metalli, il petrolio e i componenti usati nell’industria automobilistica. Trump ha vinto le elezioni promettendo di combattere l’inflazione, ma la sua politica rischia paradossalmente di farla impennare. Tra due mesi scopriremo se il presidente proseguirà per questa strada o sceglierà una linea più pragmatica. ◆ as

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1591 - 29 novembre 2024
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