Torna un’opera del 1999 che ha lasciato il segno. L’autore riesce nell’impresa di trasfigurare l’autobiografia in un racconto picaresco e atemporale. Siamo forse negli anni quaranta-cinquanta ma senza che sia esplicitato. E il viaggio su una nave da guerra, in cui Blain reinventa il proprio servizio militare, è un viaggio per prima cosa tra tipologie umane, tra persone-personaggi con un carattere. L’autore immette situazioni reali e dettagli tecnici e fa di un documentario un racconto fantastico. Ma nel far (ri)vivere insieme gli opposti (passato e presente, documentario e finzione, realismo e grottesco, avventura e introspezione, poesia e prosaicità), il racconto prende la forma di un viaggio nei cunicoli dell’inconscio, quello nostro e quello dell’immaginario collettivo che si è stratificato nelle varie epoche, da Jules Verne ad Albert Robida, passando per un’infinità di fumetti. Blain dilata tutto: il suo è lo sguardo magico dell’infanzia che fa diventare una barchetta di legno una nave gigantesca e macchinari di sei metri lunghi trenta. Fumetto paradigmatico della teatralità intrinseca al mezzo, i marinai-burattini disegnati con un tratto espressionista e stilizzato sono in fuga perenne con il mal di mare, nel buio e tra luci fioche, in tunnel oscuri che portano alla cruda realtà del mondo adulto, intento a fare guerre insensate. Ma, anche se con molta ironia e umorismo, quello che Blain rappresenta è un mondo che non tornerà più. Francesco Boille
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Questo articolo è uscito sul numero 1428 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati