Tullio Pericoli, pittore con un passato anche nel fumetto (L’Espresso, Linus), ha lavorato enormemente sullo schizzo, su tratti “incerti e ansiosi”, fragili e flebili, che assumono gradualmente grande forza, per giungere ai Ritratti dei ritratti, concentrati soprattutto intorno a letterati ma non solo. Qui, con parità di diritto, convivono i vari stadi della creazione che in qualche modo corrispondono anche alle varie fasi della storia dell’arte. L’essenza dell’arte sta nel finito, oppure nell’abbozzo fresco dove sono indovinati i tratti chiave del soggetto rappresentato? Nelle sue acqueforti Rembrandt lavorava sui vuoti, il bianco, allo scopo di mantenere la forza dirompente del getto iniziale: “Un pezzo è finito se l’artista ha ottenuto ciò che si è prefisso di raggiungere”, diceva. Più avanti Matisse, che con il suo calligrafismo orientale ha tanto influenzato il fumetto, teorizzava l’astrazione nel figurativo. Difficile mantenere nel finito l’infinito che sempre traspare nei tratti essenziali. I ritratti di Pericoli, cugini del calligrafismo indagato dall’arte del novecento così come dal fumetto (si veda per esempio la mostra Picasso et la bande dessinée al Musée Picasso di Parigi), sembrano riuscirci in tutte le fasi svelando qualcosa dell’ineffabile dell’arte, del suo mistero. Del resto, scriveva Karl Kraus in Detti e contraddetti (Adelphi 1992): “Pazienza, voi ricercatori! Il mistero sarà illuminato dalla sua propria luce”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1537 di Internazionale, a pagina 109. Compra questo numero | Abbonati