La nuova graphic novel di Nick Drnaso è quasi un evento. Il suo minimalismo radicale, che riesce a costruire grandi affreschi universali partendo dal microcosmo della provincia statunitense, sull’incertezza assoluta della nozione di reale nel mondo di oggi, va ben al di là di una fotografia, per quanto estremamente acuta e precisa, delle nevrosi e dell’alienazione moderna nell’era delle fake news e dei complottismi estremi, a cui lo si vorrebbe relegare. Come già nel capolavoro Sabrina, anche in questo corso di recitazione infinito si va oltre gli interrogativi tra l’apparire e quel che si è. Drnaso crea una rivoluzionaria sensazione di verità sull’esistenza delle dimensioni parallele, su quanto afferma il fisico Carlo Rovelli che quel che chiamiamo realtà sia qualcosa di sottile e labile. Nulla è didascalico nelle sue rappresentazioni dall’apparenza teatrale ma impraticabili a teatro. E lascia grandi dubbi, ambiguità, terribili porosità, la sensazione che qualcosa di vero possa esserci in queste falsità. Oppure che tutto sia una proiezione psicotica, singola o collettiva. Tuttavia, al contrario dei grandi del fumetto, non si ha voglia di tornare a contemplare sequenze e singole immagini, talmente è radicale il suo lavoro visivo sull’asettico e l’anonimo. E nonostante le sue narrazioni continuino a interrogarci nel profondo una volta chiuso il libro. Strano caso di una perfezione al contempo imperfetta. E viceversa. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1545 di Internazionale, a pagina 97. Compra questo numero | Abbonati