Quest’estate la frase “ruggenti anni venti” rimbalzerà da una parte all’altra tra consigli d’amministrazione, società d’investimento e vertici politici. Con l’allentamento delle restrizioni per il covid-19 cresce l’ottimismo, e gli investitori prevedono un decennio esplosivo. Tuttavia i politici dovrebbero considerare i risultati di un recente sondaggio del Pew research center. Alla fine del 2020 i sondaggisti hanno chiesto a 4.100 persone in Germania, Francia, Stati Uniti e Regno Unito se erano soddisfatte dell’economia.
Con l’arrivo dei vaccini e la prospettiva della fine delle restrizioni ci si sarebbe aspettati una risposta positiva. Invece due terzi circa degli intervistati in Francia e la metà negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania hanno dichiarato di volere una “sistematica revisione” o addirittura una “riforma completa” delle strutture economiche.
Forse questo malcontento è stato accentuato dalle conseguenze psicologiche del lockdown e alla fine si dissolverà. Per ora, tuttavia, possiamo rilevare che è all’origine di rivendicazioni significative. Dal sondaggio emerge che nel Regno Unito, dove i conservatori hanno appena avuto un enorme successo alle elezioni amministrative, i cittadini vogliono più stato e più ridistribuzione rispetto agli europei continentali. Il 67 per cento dei britannici è favorevole a una maggiore regolamentazione del mondo degli affari, percentuale che in Francia è del 58 per cento, in Germania del 53 per cento e negli Stati Uniti del 46 per cento. Il 62 per cento dei britannici, inoltre, ritiene “molto importante” che il governo costruisca più case popolari e il 53 per cento che aumenti i sussidi per i poveri. Il 50 per cento auspica un reddito minimo universale. Margaret Thatcher si starà rivoltando nella tomba.
Come in tutti i sondaggi, i risultati vanno contestualizzati, ma sarebbe stupido ignorarli. Senza dubbio ci dicono che la ripresa economica e il ritorno alla “normalità” non si tradurranno automaticamente nel sostegno degli elettori allo status quo. Al contrario, è possibile che il sondaggio del Pew rilevi un significativo cambiamento nello spirito del tempo, determinato in parte dalla pandemia ma con radici più profonde. Oggi, per esempio, si chiede più stato perché il covid non solo ha fatto emergere le disuguaglianze, ma ha ricordato alle persone quant’è incerto il futuro. C’è un desiderio di protezione.
Due mesi di spese
James Manyika, direttore del McKinsey global institute, è d’accordo: “C’è un senso di disuguaglianza che colpisce le persone e i luoghi. Molti non possono più contare su un posto di lavoro sicuro”. Un altro sondaggio condotto dalla McKinsey suggerisce che “metà degli statunitensi sostiene di non poter affrontare più di due mesi di spese se perde il lavoro”.
Hilary Cottam, docente dell’University college London che lavora sulle comunità postindustriali britanniche, spiega che la richiesta di cambiamento è alimentata dall’insicurezza e dall’emarginazione. “La ripresa non può essere realizzata dalle istituzioni nate nel dopoguerra”, ha dichiarato nel corso di un seminario all’università di Stanford, in California. Nello stesso seminario la politologa Jenna Bednar ha affermato che il tessuto sociale si è a tal punto deteriorato che ormai è necessaria una completa ridefinizione delle istituzioni per creare un sistema più collaborativo e inclusivo.
C’è tuttavia un fattore positivo che potrebbe favorire un cambiamento: la corsa allo sviluppo e alla distribuzione del vaccino ha dimostrato alle persone che i governi possono fare cose buone, ma anche che le aziende possono a volte lavorare insieme e non solo farsi concorrenza tra loro. Questo potrebbe prefigurare collaborazioni in altri ambiti, come quello della lotta al cambiamento climatico. In entrambi i casi il punto cruciale è questo: non guardiamo solo i dati economici per capire cosa sta succedendo, proviamo a capire lo spirito dei tempi. Tornare alla “normalità” – negli uffici, nelle scuole o nei ristoranti – non significa necessariamente riabbracciare i vecchi sistemi. La politica e le aziende devono tenerlo presente. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1418 di Internazionale, a pagina 132. Compra questo numero | Abbonati