Con Luca Giurato, morto l’11 settembre, se ne va l’era dello strafalcione gioioso, democratico e pacifista. Il conduttore sembrava avere con la tv un rapporto accidentale, quando, copione alla mano, annunciava in pompa magna l’ingresso di ospiti già seduti accanto a lui: “Scusate, non vi avevo visto”. Strapazzatore linguistico, involontario quanto efficace generatore di inciampi verbali, in una puntata di Uno mattina (Rai Uno) dell’8 marzo salutò il pubblico femminile con un “Buon primo maggio a tutte le donne”, suggerendo alla giornata un ulteriore taglio politico. Colto e a suo modo elegante, ebbe a dire, lambendo il genio di Flaiano: “Nutro il massimo rispetto per le opinioni di nessuno”. Da cronista raccontò la caduta del “Nudo di Merlino” e la morte di “Santo Pertini”, arricchendo la fredda comunicazione giornalistica d’immagini e rimandi che in altri contesti sarebbero stati considerati letterari. A differenza di Mike Bongiorno, sospettato di avere contezza delle sue scivolate, Giurato sabotava il testo con la disinvoltura del pittore che smargina. Generava in noi spettatori quello che i tedeschi chiamano schadenfreude, il sollievo che proviamo di fronte alle sventure altrui. L’immagine teatrale della leggerezza, questo comunicava Luca Giurato che in un raro momento d’ira, dietro le quinte, vanificò ogni intenzione bellicosa con un delizioso: “Mi sono cotto il razzo”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati