Avrei dovuto suggerirlo per Natale, ma c’è sempre tempo per recuperare National Bible bee, talent cattolico in streaming che ha come perno non il canto o il ballo ma i versetti della Bibbia. In uno studio che ricorda The voice (titolo adatto anche per questo format) i concorrenti giovanissimi, ben vestiti e motivati devono recitare le sacre scritture a memoria. Nelle interviste esaltano la loro fede e tradiscono l’emozione per il game show che però “gioco non è”, precisa la giuria schierata come in tutti i talent, ma un’occasione per avvicinarsi alla parola di Dio e “trovare un antidoto al relativismo dell’intelligenza artificiale, alla fluidità di genere e ai social”.

Al di là della retorica della Shelby Kennedy foundation, network di gruppi cristiani conservatori che produce lo spettacolo, i ragazzini studiano e memorizzano per mesi. Non solo ricordano ogni sillaba di “Giovanni 3,16” ma la interpretano con l’ardore dei veri predicatori, per la gioia di mamme e papà seduti tra il pubblico. La regia indugia sui loro volti tesi e il labiale che segue la recita del figlio fino all’“amen” finale, quando l’applauso si impasta a un jingle che non ha nulla di gregoriano. Soddisfattissimi i genitori di Daniel, nove anni, che grazie al racconto su re Nabucodonosor, narrato con la precisione di un rabbino, si aggiudica l’edizione e un bottino di più di diecimila dollari che sparge nello studio del quiz un’allegria degna di “Mike 5,17”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1596 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati