La scala Scoville misura la piccantezza dei peperoncini sulla base dei capsaicinoidi, sostanze non ancora illegali. In Hot ones (RaiPlay) Alessandro Cattelan intervista gli ospiti condividendo con loro alette di pollo immerse in salse di crescente speziatura. Mentre le domande variano dalla carriera alla vita privata, le risposte devono fare i conti con un palato in fiamme, occhi che si riempiono di lacrime e vampate di calore che trasformano ogni frase in un rantolo. L’intervista diventa così un pretesto per assistere alla lenta metamorfosi dell’ospite in una figura grottesca. Non è l’unico format ad aver fatto del disagio fisico una chiave d’intrattenimento. Jimmy Fallon conduceva interviste sulle montagne russe, trasformando star hollywoodiane in creature urlanti. Nel sudcoreano Running man le celebrità sono intervistate durante una sorta di parkour urbano, tra fiatoni, cadute e crisi isteriche. In Giappone, Monitoring immerge le star negli onsen, le terme tradizionali, dove il calore dell’acqua provoca stati alterati di coscienza e piccoli malori. Cinquant’anni fa, Enzo Tortora aveva già intuito il potenziale drammaturgico del disagio, intervistando i politici mentre un barbiere armato di rasoio si occupava dei loro doppi menti. Scelta che, come tutte quelle citate, non mirava solo a rendere le reazioni dell’ospite più autentiche ma soprattutto a risarcire lo spettatore della frequente mediocrità delle risposte. ◆

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1598 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati