Torna da Garzanti, che lo mise insieme nel 1963, un classico del nostro novecento, a cura di Roberto Barbolini e con una bella copertina di Toccafondo, dopo che Minimum fax ha riproposto un classico della nostra critica, a cura di Emanuele Trevi: Un uomo pieno di gioia di Cesare Garboli, che ha raccontato Delfini da quasi allievo, amico, testimone e studioso. Tra gli amici di Delfini da cui ho sentito i ricordi c’è Bilenchi, che mi passò un tempo il “manifesto per un partito comunista e conservatore” del Delfini politico, del 1951. E Agamben, che ha sciolto il mistero di una poesia che sembrava incomprensibile, scritta in basco, come non doveva stupire nell’autore di uno dei più bei racconti italiani, Il ricordo della Basca. Delfini era di Modena ed è Modena che ha cantato, un’Emilia non zavattiniana, vicina alla Romagna di Fellini, sostenendo che era la certosa di Modena quella cui si era ispirato Stendhal, spostandola a Parma. “Solo Emilia e Romagna hanno i colori della sera”, scriveva. Vita di provincia, vizi e bizzarrie dei ricchi, dei vecchi, dei giovani degli anni trenta, insoddisfatti e sognatori, dandy scontenti come lo stesso Delfini, che li conosceva bene ed era uno di loro, gioendone e soffrendone come un erede di Gogol e di Čechov, di cui ascoltare i lamenti e le irritazioni e gli sfoghi con partecipazione e distanza, e con amore. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1439 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati