Daniele Archibugi, figlio d’arte, è scienziato ed economista, filosofo ed ecologista ben noto. E ha pubblicato Maestro delle mie brame, un libro fortemente narrativo, gettando luce sulla figura di Federico Caffè, quel grande economista che in un giorno di metà aprile del 1987 sparì letteralmente nel nulla, senza lasciare traccia. Si era forse ucciso? Era fortemente depresso, questo è certo, in anni in cui della depressione si sapeva ben poco. Amatissimo dai suoi allievi, le cui ricerche, così come quelle della polizia, non portarono a nulla. Si paragonò molto questa scomparsa a quella del fisico Ettore Majorana, di non troppi anni prima, ricostruita nel pregevole libro-inchiesta di Leonardo Sciascia La scomparsa di Majorana (Adelphi 2004). Non si è mai trovato il suo corpo e su questa scomparsa si sono fatte tante ipotesi. Il mistero rimane, e oggi non ci sono più speranze di poterlo svelare.
Daniele Archibugi fu uno degli allievi più cari a Caffè, anche perché era un amico di famiglia. E questo suo libro, affascinante e commovente, più che un saggio o un romanzo, è la storia di un rapporto decisamente pedagogico, tra maestro e allievo, e quasi tra padre e figlio. Anche se dice, non troppo sul fondo, cose importanti sugli anni migliori della nostra storia nazionale, quelli che vanno dalla caduta del fascismo all’uccisione di Aldo Moro. Gli anni in cui operò in Italia un gruppo di grandi economisti seriamente democratici, che si assunsero forti responsabilità in quell’economia di stato, per esempio nell’Iri di Pasquale Saraceno. Mettendo in pratica le idee di John Maynard Keynes (tutti da lì venivano, i migliori, e non solo in Italia) quell’economia fu la principale artefice della nostra ricostruzione, della rimessa in moto del paese dopo le disastrose conseguenze degli anni della guerra mondiale e poi di quella civile. Ma per questo fu fortemente osteggiata dagli esponenti del capitale privato, in testa gli Agnelli e il loro sodale Eugenio Scalfari, che in Razza padrona (Feltrinelli 1974) li trattava da “boiardi di stato”, difendendo i suoi, di padroni. Esaltando e preannunciando la disastrosa “privatizzazione” di oggi e di tutto.
Daniele Archibugi non intende fare la storia di una generazione di grandi economisti democratici ma quella del suo legame di allievo con un maestro come Federico Caffè
L’aspetto più terribile e tragico di questa storia riguarda le Brigate rosse che, infiltrate o guidate da servizi di sicurezza di più nazioni, si accanirono furiosamente contro coloro che in vario modo (da Guido Rossa ad Aldo Moro) lavoravano per un incontro che sarebbe stato davvero storico tra il mondo operaio e quello cattolico. Per Caffè, un momento particolarmente cupo fu quando le Br ammazzarono Ezio Tarantelli, luminosa figura di studioso militante.
Maestro delle mie brame, pur dando il posto che merita a quel gruppo di egregi economisti che si formarono con Caffè e nell’aria (nei sogni) del tempo – i Sylos Labini, gli Amoroso, i Visco, i Ruffolo, i Draghi, i De Cecco – non è un saggio di storia dell’economia italiana. Parlando di sé, e del suo legame privilegiato con Caffè, Archibugi non intende fare la storia di una generazione di grandi economisti democratici (si spera che qualcuno la faccia presto), ma quella del suo legame di allievo con un maestro come Caffè. Parla principalmente di questo, e fa di questa ricostruzione un romanzo pedagogico. È illuminante e non secondario, in questa storia, confrontare il modo di lavorare nell’università dei maestri di ieri con quello dei maestri di oggi. E non si pensa solo a settori come l’economia, ma a tanti altri.
Ma per tornare a Caffè, l’affetto e la stima che gli hanno portato i suoi allievi, e che ancora nutrono, è una dimostrazione molto efficace di cosa possa significare per gli studenti universitari incontrare sulla loro strada maestri rispettosi delle diversità e delle qualità di ognuno, e capaci di indirizzarle e rafforzarle. È dall’università che viene la classe dirigente del paese, tutta o quasi. Ma soprattutto è grazie a maestri che hanno davvero qualcosa di valido e d’importante da trasferire e insegnare, e sanno farlo, che un paese può risultare davvero civile.
Molti anni fa, prendendo parte al seguito di Danilo Dolci alla preparazione di un convegno a Palermo per la piena occupazione, ho avuto la fortuna d’incontrare anch’io Federico Caffè, riportandone un ricordo assai forte. Credo di capire il fascino che la sua figura ha esercitato sui suoi allievi, ed è anche per questo che ho trovato Maestro delle mie brame tanto istruttivo quanto commovente. ◆
Goffredo Fofi è un giornalista e critico teatrale, cinematografico e letterario. È stato animatore di riviste storiche come Quaderni piacentini, Ombre rosse, Linea d’ombra, La Terra vista dalla Luna, Lo straniero, e direttore della rivista Gli asini.
Il libro: Maestro delle mie brame. Alla ricerca di Federico Caffè di Daniele Archibugi, Fazi, 244 pagine, 18 euro
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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati