Andare in giro per gallerie d’arte a Hong Kong, di questi tempi, significa trovarsi davanti a mille versioni diverse della struggente nostalgia che attanaglia la città.

Ci sono artisti come l’ex illustratore Yeung Hok Tak, che nei suoi dipinti ad acrilico mescola ricordi dell’infanzia a immagini di strade della città, creando rappresentazioni realistiche ma non del tutto, che lasciano spazio a interpretazioni di ogni tipo. Altri, come la scultrice Debe Sham, ricreano i giochi dell’infanzia, dai fischietti di plastica che si trovavano nelle scatole di detersivo in polvere alle altalene dei giardini delle case popolari. Nelle sue gigantesche tele a olio Chow Chun Fai mescola momenti di alcuni dei film più popolari di Hong Kong ad angoli delle strade di oggi; Jacky Tao ricrea con i colori pastello immagini da sogno di una Hong Kong riconoscibile solo da alcuni dettagli, come il tipo di autobus che circola in città, o i camioncini dei gelati, o le corse dei cavalli, e li mescola ad animali più o meno mitologici, a scene tratte dalla letteratura classica. Stephen Wong Chun Hei invece finge di essere nello spazio, e di osservare dal cosmo i dettagli di Hong Kong: le colline rotonde, il traghetto Star Ferry che fa la spola nel porto di Vittoria, le persone che camminano nei parchi il fine settimana. Come se i cambiamenti nel tessuto sociale di Hong Kong richiedessero quest’osservazione insistente e minuziosa sulla città e sulla sua geografia emotiva, prima che tutto scompaia.

Il capo della sicurezza ha ripetuto che anche l’arte deve essere patriottica. Così chi vuole rappresentare un modo diverso di pensare la città lo fa indirettamente

Dopo l’approvazione di due nuove leggi sulla sicurezza nazionale – la prima imposta da Pechino nel 2020 e la seconda approvata dal governo locale quest’anno – Hong Kong è cambiata profondamente. Non ci sono più manifestazioni di protesta; molti libri sono stati tolti dalle biblioteche; i programmi scolastici sono diventati più simili a quelli della Cina continentale; molti gruppi politici o della società civile sono stati sciolti e tanti dissidenti sono finiti in prigione o sono in attesa di un processo.

Le istituzioni, nel frattempo, hanno fatto aprire numerosi musei, centri multiculturali, gallerie e, per ricordare che Hong Kong è ancora un luogo internazionale, anche le nuovi sedi per l’Asia e il Pacifico delle case d’aste Christie’s e Sotheby’s, che offrono mostre per il grande pubblico, programmi educativi, e, ovviamente, vendite all’asta. Preparare alcuni musei e gallerie ha richiesto anni di lavoro. E forse è per questo che il divario fra l’apparente vivacità culturale e la cupezza imposta dalle nuove leggi sulla sicurezza nazionale si sta facendo evidente. La rievocazione quasi ossessiva di alcuni dettagli di Hong Kong fatta dai suoi artisti mostra, molto meglio di una protesta di massa, fino a che punto la situazione attuale può essere dolorosa.

Questo aspetto non è sfuggito alle autorità locali, che a più riprese hanno incitato il pubblico a vigilare anche sulle arti visive, mettendo in guardia davanti alla possibilità che nell’arte si nascondano delle versioni della “resistenza soft” antipatriottica che il governo vuole debellare. Così, se l’arte locale guarda ai dettagli che rendono unica Hong Kong, i musei istituzionali propongono mostre su artisti cinesi che non hanno mai preso le distanze dal governo o dalla sua politica. La scorsa estate si è svolto il primo festival della cultura cinese – con infinite rappresentazioni di opera e musica classica di Pechino e di alcune mostre sulle arti della Cina antica – che ha ribadito la necessità di rendere Hong Kong “più cinese”, un’espressione usata dalle autorità.

Un pittore che riempie di riferimenti politici i suoi quadri, ma che ha chiesto di restare anonimo, commenta questo dualismo dicendo che lui non si occupa troppo dei musei istituzionali, e che gli interessa solo “rendere omaggio alla nostra amatissima città”. Interrogato sugli evidenti riferimenti politici presenti nei suoi quadri, risponde: “Se li vedi vuol dire che ci sono. Ma sei tu che li stai vedendo. Io non faccio nessun tipo di dichiarazione politica. Dipingo e basta”.

Non è vigliaccheria. Chris Tang, il capo della sicurezza di Hong Kong, poche settimane fa ha ripetuto che l’arte non è esente dal patriottismo. Così chi vuole rappresentare un modo diverso di pensare la città lo fa indirettamente, per poter poi negare di aver voluto dire qualcosa di politicamente compromettente.

La scultrice Debe Sham è ancora più criptica: nelle sue opere i giochi amati da tutti i bambini vengono sovvertiti: le altalene, per esempio, sono state tagliate a metà, e messe davanti a uno specchio, così ognuno gioca con la sua stessa immagine. Se le chiedi perché le interessa tanto lavorare sui giochi, risponde: “Perché hanno delle regole. Possono essere considerati una gabbia, ma preferisco pensare che l’immaginazione, all’interno di una serie di regole imposte, possa rafforzarsi” . ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati